I rider sono lavoratori autonomi con diritto alle tutele dei dipendenti. Sono, cioè, dei co.co.co. di terza generazione, quella introdotta dalla riforma Jobs act dal 2016 (art. 2 dlgs n. 81/2015): «Tecnicamente restano “autonomi”, ma per ogni altro aspetto, e in particolare per quel che riguarda sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita, limiti di orario, ferie e previdenza, il rapporto è regolato allo stesso modo» dei dipendenti. È quanto si legge nella sentenza n. 26 dell'11 gennaio (si veda ItaliaOggi del giorno seguente) depositata ieri dalla corte di appello di Torino, sull'inquadramento dei fattorini in bicicletta della società Foodora. La pronuncia detta i principi per le nuove «co.co.co. etero-organizzate».

La questione dei rider. La Corte riformula la sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso di sei fattorini contro Foodora, con richiesta di reintegro, assunzione, risarcimento danno e pagamento di contributi perché, nonostante fossero inquadrati da co.co.co., ritenevano di dover essere considerati dipendenti. Con sentenza n. 778/2018 (si veda ItaliaOggi dell'8 maggio 2018), il tribunale di Torino ha respinto il ricorso, escludendo i caratteri della subordinazione nelle co.co.co. dei rider. La decisione è confermata dalla corte di appello.

La riforma Jobs act. Nella stessa sentenza 778/2018, il tribunale ha escluso anche l'applicazione dell'art. 2 del dlgs n. 81/2015, invocato in subordine dai rider, ai sensi del quale, dal 1° gennaio 2016, «si applica la disciplina del lavoro subordinato alle co.co.co. che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimenti ai tempi e luoghi di lavoro». La norma, per il tribunale, non amplia il concetto di subordinazione per includervi le co.co.co.; ma, anzi, ha un campo più ristretto di quello del lavoro dipendente (art. 2094 del codice civile). Su tale punto la corte di appello è di parere contrario.

Le co.co.co. di terza generazione. Infatti, per la Corte, l'art. 2 individua un terzo genere di co.co.co. che si pone tra il rapporto subordinato (art. 2094 codice civile) e la co.co.co. tradizionale (art. 409, n. 3, codice procedura civile), al fine di dare maggiori tutele alle nuove fattispecie di lavoro che, a causa di nuove tecnologie, si vanno sviluppando. La norma, in particolare, postula un concetto di «etero-organizzazione» fornendo al committente il potere di fissare le modalità di esecuzione della prestazione del collaboratore, ossia di fissare tempi e luoghi di lavoro, senza però sconfinare nel potere gerarchico e disciplinare (alla base della «etero-direzione» della subordinazione). Di conseguenza, per la corte l'art. 2 non comporta la costituzione di un rapporto subordinato a tempo indeterminato: stabilisce solo che, dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del lavoro dipendente alle collaborazioni etero-organizzate, che però continuano a mantenere la loro natura. In altre parole, il lavoratore etero-organizzato resta, tecnicamente, «autonomo» ma per ogni altro aspetto, e in particolare per quel che riguarda sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita (quindi inquadramento professionale), limiti di orario, ferie e previdenza, il rapporto è regolato nello stesso modo dei dipendenti.

La sorte dei rider. In conclusione la Corte fa salvi i contratti di lavoro in essere (non li converte in «dipendenti») ed estende loro le tutele previste per i rapporti subordinati. Entro tali limiti, quindi, accoglie la domanda dei rider di avere riconosciuti i diritti al trattamento retributivo dei dipendenti, ma solo riguardo ai giorni e alle ore di lavoro effettivamente prestate.

Daniele Cirioli - 06 febbraio 2019 – tratto da Italia Oggi

 

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