Per stabilire se l’affitto breve gestito tramite Airbnb configura o no attività d’impresa, la stella polare è rappresentata dal Codice civile e dal Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir). Non rileva – sotto il profilo tributario – la normativa provinciale di Bolzano, che detta criteri restrittivi per individuare l’attività di «affittacamere privato». È quanto affermano le Entrate con la risposta a interpello 373/2019.

Il quesito posto all’Agenzia riguarda la manovra di primavera di due anni fa (articolo 4 del Dl 50/2017), che prevede – in caso di affitti brevi – l’obbligo di ritenuta da parte degli intermediari e la possibilità per il locatore di optare per la cedolare al 21 per cento. Ai fini del decreto legge, sono «locazioni brevi» gli affitti che abbiano le seguenti caratteristiche:

riguardino stanze o abitazioni;

non durino più di 30 giorni;

siano stipulati direttamente o tramite soggetti che fanno intermediazione immobiliare o gesticono portali online (come Airbnb, ma non solo);

includano eventualmente la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e pulizia dei locali (cui la circolare 24/E/2017 ha aggiunto utenze, wi-fi e aria condizionata);

siano stipulati da persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa.

Proprio su quest’ultimo punto interviene la legge altoatesina 12/1995, secondo cui, come si legge nel quesito, «l’esercizio di affittacamere privato è possibile solo nel caso in cui non vengano stipulati più di quattro contratti di locazione all’anno per ogni camera o appartamento e purché non venga svolta un’attività di promozione rispettivamente di intermediazione o non ci si avvalga della stessa». Normativa che, però, secondo le Entrate, disciplina «materie diverse» e presenta «diverse finalità» rispetto al decreto legge 50/2017. In pratica, per l’Agenzia non si pone un problema di “sovrapposizione” tra disposizioni di livello diverso e di prevalenza di quella statale su quella locale. Piuttosto, si tratta di ambiti differenti.

Come già affermato nella circolare 24/E/2017 – ricordano le Entrate – per stabilire se la locazione è svolta in forma imprenditoriale «occorre far riferimento ai principi generali stabiliti dall’articolo 2082 del Codice civile e dall’articolo 55 del Tuir (con riferimento all’esercizio di attività commerciale)». Nel caso specifico, il contribuente – anche se supera i quattro contratti – può applicare la cedolare, senza dover dichiarare i proventi come redditi d’impresa (fermo restando il rispetto dei requisiti generali appena citati, a partire dalla mancanza di “organizzazione” di mezzi).

L’Agenzia ricorda, tra l’altro, che non è mai stato emanato il regolamento previsto dal decreto legge 50 con il quale si sarebbero potuti stabilire «i criteri in base ai quali l’attività di locazione si presume svolta in forma imprenditoriale», anche in termini di numero di case locate o alla durata delle locazioni su base annua.

La risposta delle Entrate è interessante perché spesso le normative locali - non si rado oggetto di contenzioso di fronte alla Corte costituzionale - chiedono ai privati che svolgono attività di affitti brevi di qualificarsi a vario titolo come soggetti “professionali” o “imprenditoriali” (imponendo comunicazioni, fissando standard di servizio o applicando tributi locali come la Tari con le tariffe proprie delle case vacanza).

Cristiano Dell'Oste - 12 settembre 2019 – tratto da sole24ore.com

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