Gli aiuti di Stato non possono essere concessi a imprese che, alla data di presentazione della domanda, si trovino in una condizione di difficoltà: così ha stabilito l’avvocato generale della Corte Ue, Manuel Campos Sánchez-Bordona (Spagna), nelle sue conclusioni sulla causa C-245/16.

Il caso riguarda un’azienda che nel 2012 aveva chiesto e ottenuto un contributo di 144mila euro a titolo di incentivo nell’ambito di un intervento del Por (programma operativo regionale) delle Marche. 
Nel 2013, dopo aver ultimato l’investimento agevolato, la società aveva chiesto la liquidazione definitiva del contributo e, poche settimane dopo, aveva proposto istanza di concordato preventivo presso il Tribunale di Macerata. A questo punto, l’Organismo intermedio Mcc Spa di Roma, che aveva versato il 50% del contributo, aveva notificato l’avvio del procedimento di revoca delle agevolazioni a causa della perdita dei requisiti di ammissibilità del finanziamento.

Di conseguenza la Regione Marche aveva revocato il contributo già per metà concesso, richiedendone la restituzione con gli interessi. 
Il Tar delle Marche, investito della controversia, a chiesto in via pregiudiziale alla Corte Ue se il Regolamento europeo n. 800/08, che esclude dagli aiuti da esso previsti le imprese in difficoltà, si riferisca anche alle imprese per cui si siano aperte procedure concorsuali (fallimento, amministrazione straordinaria eccetera) avviate su istanza dell’imprenditore interessato, o solo a quelle oggetto di procedura concorsuale avviata su iniziativa di terzi o d’ufficio.

Secondo l’avvocato generale la società poteva beneficiare degli aiuti perché al momento della presentazione della domanda non era in difficoltà. Nelle sue conclusioni l’avvocato evidenzia, poi, che il regolamento n. 800/08 non prevede la revoca dell’aiuto come conseguenza della sopravvenuta situazione di difficoltà. Altro discorso (che, però, non può essere valutato dal giudice dell'Unione) è che il bando prevedesse, nel caso specifico, la revoca dell’aiuto in «Il regolamento - si legge nella nota della Corte Ue sulle conclusioni dell’avvocato - non distingue tra procedure concorsuali avviate d’ufficio o a istanza di una o di un’altra parte: detto aspetto è quindi indifferente ai fini dell’applicazione del regolamento». 

“Al giudice nazionale spetta di stabilire se il concordato in continuità sia una tipologia di concordato preventivo: in tal caso, esso avrà certamente natura di procedura concorsuale”

Il problema, semmai, è se l’apertura di una procedura concorsuale (d’ufficio o su istanza di parte) consenta di ritenere automaticamente sussistente una situazione di difficoltà (che impedirebbe la concessione dell’aiuto ai sensi del regolamento) o se, invece, tale situazione debba valutarsi caso per caso. Per l’avvocato generale la correlazione tra avvio della procedura e situazione di difficoltà costituisce un meccanismo automatico, puramente formale, «poiché il regolamento ha inteso semplificare la definizione di impresa in difficoltà».
Al giudice nazionale spetta di stabilire se il concordato in continuità sia una tipologia di concordato preventivo: in tal caso, esso avrà certamente natura di procedura concorsuale.

Va ricordato che le conclusioni dell’avvocato generale non vincolano la Corte di giustizia, chiamata a esprimersi sul caso: il compito dell’avvocato generale consiste infatti nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa.

Francesca Milano - 5 aprile 2017 – tratto da sole24ore.com

Altre notizie