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Nella determinazione del valore di un ramo d’azienda oggetto di cessione rileva, ai fini dell’imposta di registro, anche l’avviamento negativo. A occuparsi dell’argomento è stata la 5ª sezione civile della Corte di cassazione, con la sentenza n. 979/2018. La società contribuente proponeva ricorso in Cassazione per la riforma della sentenza emessa dalla Ctr Toscana con cui veniva ritenuto legittimo il diniego dell’Agenzia delle entrate al rimborso della maggiore imposta di registro versata su atto di acquisto di ramo d’azienda, per il quale veniva anche considerato l’avviamento negativo, dovuto all’inattività dell’azienda e alla elevata probabilità di perdite. La Ctr aveva invece ritenuto corretta la liquidazione del tributo perché rapportata al valore dell’attivo patrimoniale e non al prezzo ribassato dall’incidenza di un avviamento negativo, non considerato del giudice regionale. Per contro, col ricorso, la società lamentava che la Ctr, in spregio al rispetto dei principi di uguaglianza e capacità contributiva, aveva omesso di considerare che l’avviamento costituisce proprio una componente del valore aziendale, da soppesare non solo se positiva, ma anche se negativa, non motivando, altresì, quali fossero le ragioni per cui un avviamento negativo non avrebbe modo di influire sulla determinazione del valore del ramo ceduto. La pronuncia, considerando tali motivi fondati, ha riaffermato la portata che l’avviamento, elemento economico-patrimoniale dell’azienda, possiede anche a livello di ordinamento tributario. La stessa normativa che regolamenta l’imposta di registro, il dpr n. 131/1986, considera all’art. 51, comma 4, l’avviamento come incidente sul valore dell’azienda trasferita e sulla determinazione della rispettiva base imponibile del tributo. Anche la Suprema corte conferma, dunque, lo stretto legame tra l’avviamento e l’azienda, essendo il primo una qualità intrinseca di questa suscettibile di autonoma apprezzabilità. Ma i giudici precisano che tale elemento non può dirsi rilevante per determinare il valore dell’azienda ceduta solo se positivo, poiché incide anche se negativo. La norma, infatti, non esclude espressamente la valenza di un avviamento negativo, da intendersi come prevedibilità di perdite future e non come passività già prodotte, ai fini della individuazione di una base imponibile che sia più aderente possibile all’effettivo valore del complesso aziendale ceduto. Di conseguenza, è da ritenersi errata la valutazione operata dalla Ctr con cui si negava che l’avviamento negativo potesse aver rilievo.

Nicola Fuoco - 05 marzo 2018 – tratto da Italia Oggi

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