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Il calcolo del superamento della soglia di evasione Iva, oggi 250 mila euro, dev'essere fatto al netto degli interessi trimestrali.

Lo ha sancito la Suprema Corte di cassazione che, con la sentenza numero 46953 del 16 ottobre 2018, ha annullato la condanna pronunciata dalla Corte d'appello di Milano a carico di un imprenditore per aver evaso l'imposta nel 2010.

Di fronte ai Supremi giudici ha vinto in pieno la tesi della difesa secondo cui il calcolo andava fatto detraendo gli interessi trimestrali. Il gravame è stato infatti accolto dalla terza sezione penale che ha assolto l'uomo con formula piena, perché il fatto non sussiste. Gli Ermellini hanno motivato la decisione pro-contribuente affermando il principio di diritto secondo cui «ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettera f) del dlgs n. 74 del 2000 per valutare il superamento della soglia di punibilità di 250 mila per il reato di cui all'art. 10-ter, dlgs 74 del 2000, deve tenersi conto solo ed esclusivamente dell'Iva evasa e non anche degli interessi dovuti per il versamento trimestrale».

Infatti, nel reato di omesso versamento di Iva, previsto dall'art. 10-ter del dlgs n. 74 del 2000, il superamento della soglia di punibilità - fissata, in 250 mila euro, in seguito alle modifiche apportate daldlgs n. 158 del 2015, in 250 mila euro non configura una condizione oggettiva di punibilità, bensì un elemento costitutivo del reato, con la conseguenza che la sua mancata integrazione comporta l'assoluzione con la formula «il fatto non sussiste».

D'altronde, ricorda il Collegio di legittimità, la modifica dell'art. 10-bis, dlgs n. 74 del 2000 ad opera dell'art. 7, comma 1, lett. b), dlgs n. 158 del 2015, che ha escluso la rilevanza penale dell'omesso versamento di ritenute dovute o certificate sino all'ammontare di euro 150 mila ha determinato una abolitio criminis parziale con riferimento alle condotte aventi a oggetto somme pari o inferiori a detto importo, commesse in epoca antecedente». La decisione è destinata a far discutere: la Procura generale del Palazzaccio aveva infatti sollecitato un epilogo opposto, ovvero l'inammissibilità del ricorso e quindi la conferma definitiva della condanna.

Debora Alberici - 10 novembre 2018 – tratto da Italia Oggi

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