Case in citta d’arte o località turistiche, dal mare alla montagna. Mansarde, taverne, stanze arredate oppure intere cascine. Unità immobiliari a disposizione che gli italiani scelgono - sempre più spesso - di destinare all’affitto breve. Così il successo di portali come Airbnb o Booking, che consentono a chiunque di raggiungere una clientela internazionale, ha fatto esplodere le locazioni turistiche da Nord a Sud, tanto che ora il legislatore corre ai ripari per normare un fenomeno ormai fuori controllo.

La banca dati 
Tutte le strutture ricettive e gli immobili concessi in locazione per meno di 30 giorni saranno presto censiti in una banca dati nazionale e identificati da un codice alfanumerico: i dettagli applicativi (gestione, sicurezza, accesso alle informazioni) arriveranno entro fine luglio con un decreto ministeriale.

Una novità non da poco, introdotta dal decreto crescita (Dl 34/2019, convertito dalla legge 58) per “mappare” chi fa leva sul turismo per mettere a reddito il proprio alloggio. Perché i titolari delle strutture ricettive, gli intermediari immobiliari e i gestori dei portali online (tipo Airbnb o Booking) saranno obbligati a pubblicare il codice identificativo «in ogni comunicazione inerente all’offerta e alla promozione dei servizi all’utenza» (pena sanzioni da 500 a 5mila euro, maggiorate del doppio in caso di reiterazione).

La comunicazione alla Questura 
La normativa - per tacer del Fisco - continua dunque a rincorrere il fenomeno delle locazioni turistiche. Il decreto sicurezza (Dl 113/1018), convertito in legge lo scorso dicembre, ha esteso a chi affitta o subaffitta per brevi periodi (fino a 30 giorni) l’obbligo di comunicare alla Questura le informazioni sulle persone alloggiate, come già previsto per i gestori di esercizi alberghieri e di altre strutture ricettive: entro le 24 ore successive all’arrivo (o immediatamente per soggiorni inferiori alle 24 ore) le generalità degli ospiti vanno comunicate attraverso il sito «Alloggiati Web» della Polizia di Stato.

Basta? Non di certo. Ora il decreto crescita prevede che il ministero dell’Interno invii all’agenzia delle Entrate i dati di queste comunicazioni. L’Agenzia li renderà poi disponibili ai Comuni che hanno istituito l’imposta di soggiorno, e li userà per l’analisi degli adempimenti fiscali (insieme a quelli trasmessi dagli intermediari, online e no: gli stessi che operano la ritenuta del 21% sui canoni delle locazioni brevi, prevista dal decreto legge 50/2017). Con questi dati, insomma, il Fisco potrà controllare come un «grande fratello» anche il fenomeno degli affitti brevi e - in attesa che il Consiglio di stato si pronunci sul ricorso di Airbnb contro la ritenuta (attualmente non praticata sul portale, in attesa della sentenza) - potrà effettuare eventuali accertamenti sulle locazioni che non risultano in regola.

Anche in questo caso, per l’attuazione della norma, si attende un decreto ministeriale, da adottare però entro fine settembre. Ma sarà bene, per i proprietari, non farsi trovare impreparati. E chissà che – all’esito di questo scambio di informazioni tra uffici della Pa – non si arrivi a dar forma a quella “ Comunicazione Unica” da tempo richiesta dai proprietari per superare i vari (differenti) obblighi richiesti a livello regionale. Ponendo le basi per una rilevazione statistica dei movimenti degli inquilini, che al momento non è prevista dal Programma statistico nazionale, che monitora solo i clienti degli «esercizi ricettivi».

Le norme regionali 
Intanto, un fatto è certo: dalla Calabria alla Valle D’Aosta, quasi tutte le Regioni – forti della competenza sul turismo sancita dal Titolo V della Costituzione – sono intervenute per normare (e controllare) il fenomeno degli affitti brevi. Fissando differenti paletti e disegnando tortuosi percorsi autorizzativi. E alcune di loro richiedono proprio un codice identificativo degli immobili riportati negli annunci, online e no. Un codice che in Sardegna si chiama «Iun», in Lombardia «Cir», in Toscana più semplicemente «codice identificativo» (senza acronimo) e in Puglia «Cis» (non ancora operativo).

Insomma, se è vero che è scattato il countdown per l’arrivo del codice unico nazionale, la situazione sul territorio resta (e resterà) ancora frastagliata. D’altra parte, il tema degli alloggi turistici è tanto “caldo” che – come sottolinea una ricerca della Sda Bocconi – ci sono 21 definizioni di attività extralberghiere e in certi casi si giunge alla media di una modifica normativa regionale ogni dodici mesi. Motivo in più per prestare attenzione alle regole, a partire dagli adempimenti per l’avvio delle attività (in certe Regioni, ad esempio, serve la Scia).

La disciplina dei bed & breakfast 
Altro capitolo, quello dei bed & breakfast. Chi vuole avviare un’attività per offrire pernottamento e prima colazione in casa propria deve presentare la Scia allo sportello unico del Comune, corredata da una serie di documenti (dalla planimetria alla polizza assicurativa). Ma non prima di essersi recato all’ufficio regionale competente per “studiare” le norme di riferimento. Perché la disciplina dei B&B è regolata da 19 leggi regionali e due provinciali (Trento e Bolzano), ognuna delle quali fissa criteri differenti per l’esercizio: ad esempio, in termini di posti letto o di numero e grandezza delle camere.

D.Aquaro/M. Finizio - 17 luglio 2019 – tratto da sole24ore.com

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