Addio al forfait per circa 2 milioni di partite Iva che nel 2019 con ricavi o compensi fino a 65mila euro hanno sfruttato la flat tax al 15 per cento. Tra i correttivi anti abuso che il Governo pensa di inserire nella manovra di bilancio c’è anche l’introduzione del regime analitico per chi ha scelto la flat tax al 15 per cento. Il che si traduce nell’obbligo di determinare il reddito cui applicare la tassa piatta tenendo conto di costi e ricavi.

L’esatto contrario di quanto accade oggi che con il forfait imprese e professionisti semplificano tutto senza aver nessun obbligo di tenuta di registri e conti, né di dover conservare le fatture per gli acquisti di beni e servizi. Non solo, con il decreto legge fiscale collegato al Ddl di Bilancio viene introdotto anche per le partite Iva nel forfettario l’obbligo del conto corrente dedicato ai flussi finanziari dell’attività imprenditoriale o professionale svolta. In sostanza, un conto su cui far transitare esclusivamente versamenti e prelievi dell’azienda o dello studio. A tutto vantaggio dell’amministrazione finanziaria, che potrà così ulteriormente utilizzare i dati che confluiranno nella Superanagrafe dei conti correnti.

Si tratta nel complesso di una doccia fredda per l’esercito delle partite Iva in nome di un cambio di rotta all’insegna della lotta all’evasione. Un’inversione di vedute in piena discontinuità tra i due Governi Conte. La flat tax per le partite Iva di matrice leghista, infatti, è stata lo scorso anno uno dei cavalli di battaglia del governo giallo-verde, sostenuta e votata dai Cinque stelle tanto che nel corso dell’esame parlamentare della manovra per il 2019 anche i rappresentanti del Movimento hanno respinto con forza tutte le proposte di modifica anti abuso che ora la sinistra propone. A partire proprio dall’introduzione del sistema analitico di determinazione dei redditi (quindi senza più una forfettizzazione predeterminata dei costi in base all’attività svolta dalla partita Iva), così come quello di ripristinare il tetto a 30mila euro per i dipendenti su cui si sta ragionando in vista della stesura definitiva del testo di Ddl di Bilancio.

Quella dell’addio al forfait e dell’introduzione della determinazione del reddito in via analitica delle partite Iva fino a 65mila euro consentirebbe all’amministrazione di accendere un faro e di rimettere in un circuito virtuoso di potenziali controlli anche i due milioni di professionisti e imprese che per tutto il 2019 non hanno avuto alcun obbligo di rendicontazione e documentazione. In questo modo, inoltre si supererebbe il «no» arrivato da Bruxelles sulla possibilità di tracciare i soggetti in regime forfettario (dal 1° gennaio ex forfettari) assoggettandoli all’obbligo della fatturazione elettronica. Obbligo su cui la Commissione europea è stata però categorica nel ricordare all’Italia che la deroga all’applicazione dell’Iva e a i relativi adempimenti è stata ottenuta sul fatto di prevedere l’esonero da adempimenti per i contribuenti fino a 65mila euro di ricavi o compensi ritenuti comunque “minimi”.

Oltre al regime analitico e al tetto di reddito la nuova norma in arrivo con la manovra di bilancio punterebbe a reintrodurre le soglie sia sui beni strumentali sia sul personale. Quello dei beni strumentali era uno dei paletti introdotti nel 2014 proprio per limitare l’accesso al vecchio regime forfettario.

Lo scorso anno con l’arrivo della flat tax fu cancellata la norma che prevedeva il costo complessivo, al lordo degli ammortamenti, dei beni strumentali alla chiusura dell’esercizio non doveva superare i 20mila euro. Così come si punta a reintrodurre la soglia massima di 5mila euro per i compensi erogati a dipendenti e collaboratori, stringendo così le maglie dei forfettari che hanno personale alle proprie dipendenze.

In questo modo, pur in presenza di una conferma formale del regime agevolato, si tratta di un fortissimo restringimento delle condizioni di accesso e permanenza. A questo si aggiunge anche l’obbligo del conto corrente dedicato su cui far transitare proventi e spese della propria attività. Un obbligo che però non dovrebbe riguardare le partite Iva in start up.

A completare il quadro, c’è poi il definitivo abbandono della seconda parte della flat tax: il regime con tassazione al 20% per le partite Iva con ricavi o compensi da 65.001 a 100mila euro che sarebbe dovuto partire dal 1° gennaio 2020. Il secondo Governo Conte cambia così drasticamente rotta con meno misure per le partite Iva in favore di interventi mirati per famiglie e dipendenti.

M.Mobili/G.Parente - 16 ottobre 2019 – tratto da sole24ore.com

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