Legittima l’indagine bancaria svolta sui conti del contribuente sottoposto a controllo, anche se questi sono cointestati con altro soggetto. Questo quanto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 9362 dell’8 maggio 2015. L’Agenzia delle entrate è legittimata ad accertare maggiori redditi imponibili sulla base dei dati desunti dalle indagini finanziarie senza dover disporre di alcuna prova. Di contro, ricade sul contribuente l’onere di provare che le somme movimentate sui conti oggetto di indagine sono state da esso computate nella determinazione del reddito imponibile o che per legge non avrebbero dovuto scontare imposte. L’art. 32 del dpr 600/1973 stabilisce che l’Ufficio può fondare i propri accertamenti sui dati risultanti dalle movimentazioni bancarie acquisite ad esito di indagini finanziarie salvo che il contribuente dimostri «che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine» e, con specifico riferimento ai prelevamenti, indichi «il soggetto beneficiario» (art. 32, comma 1, n. 2, dpr 600/1973). Il testo della norma, tuttavia, non individua «alcuna limitazione dell’attività d’indagine, volta all’accertamento della evasione fiscale, ai soli conti correnti bancari e postali ed ai libretti al deposito intestati esclusivamente al soggetto contribuente, in quanto… una tale limitazione verrebbe illogicamente ad escludere lo scopo della stessa previsione normativa» (Cass. 5963/2015).

Matteo Monaldi – 15 maggio 2015 – tratto da Italia Oggi

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