In tempi di crisi si può anche lavorare in perdita senza per questo essere additati come evasori fiscali. Questo il principio affermato dalla Ctr Piemonte nella sentenza n. 439/38/15, depositata il 17 aprile 2015. I giudici di appello torinesi hanno dato ragione a un contribuente che era stato raggiunto da una contestazione fondata sugli studi di settore. Nel periodo d’imposta considerato, l’impresa di installazione impianti idraulici aveva dichiarato ricavi per 211 mila euro, contro i 257 mila stimati da Gerico. A seguito del contraddittorio con il contribuente, l’Agenzia delle entrate aveva quantificato un maggior reddito di impresa di 24 mila euro. Operato validato dalla Ctp Vercelli nella sentenza n. 24/1/13. Secondo il contribuente, però, la ditta aveva lavorato per un solo cliente, praticando una riduzione di prezzi per assicurarsi commesse negli anni successivi. I guadagni ottenuti negli anni precedenti, d’altronde, consentivano di sopportare il «rosso», mentre l’adeguamento ai risultati dello studio di settore era ritenuto «troppo alto, illogico, non rispondente al vero e non economicamente sostenibile». Una tesi che trova concordi i magistrati della Ctr. I giudici sottolineano che «l’ufficio, considerando il risultato economico di un solo esercizio, lo ha sganciato da quelli precedenti», quando invece «deve essere considerata la solidità dell’azienda in uno spazio temporale più ampio». Tanto è vero che, prosegue la sentenza, nell’anno in questione «l’azienda è riuscita a pagare tutti i suoi debiti, a mantenere il proprio lavoro e quello del proprio dipendente grazie agli utili degli anni precedenti». L’ufficio avrebbe «dovuto cercare dati extracontabili che non fossero puramente statistici», perché «in tempi di crisi è lecito confidare in un miglioramento futuro della situazione e proseguire nella gestione senza che ciò legittimi il sospetto di evasione fiscale». Da qui l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dell’atto impugnato.

Valerio Stroppa – 16 giugno 2015 – tratto da Italia Oggi

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