È ormai sulla linea di partenza la tassazione agevolata sui redditi derivanti dall’utilizzo dei beni di proprietà intellettuale, il cosiddetto patent box. Una misura che andrà a contrastare la registrazione di brevetti da parte di imprenditori italiani in altri stati Ue, dove le agevolazioni sono già state attivate da tempo, se pur con benefici in media minori.

È infatti alla firma dei ministri Pier Carlo Padoan e Federica Guidi il decreto che, in attuazione di una disposizione contenuta nella legge di Stabilità 2015 (poi corretta con il decreto legge sull’investment compact), detta le regole per la detassazione parziale delle royalties sullo sfruttamento della proprietà intellettuale. Lo sconto fiscale ha una durata di cinque anni e sarà del 30% per quest’anno del 40% dal 2016 e del 50% dal 2017. Con il decreto, che ItaliaOggi Sette è in grado di anticipare (il testo integrale è sul sito di ItaliaOggi), si è cercato di facilitare in ogni modo le imprese che fanno innovazione. Intanto si sono previsti criteri di calcolo semplificati per le piccole e medie imprese, si è inserito anche il design tra i destinatari delle agevolazioni e la durata quinquennale è stata definita come rinnovabile e non revocabile. Infine si sono precisati meglio i beneficiari e gli interventi ammissibili e si è previsto che la riduzione del 50% delle imposte sugli utili da attività di ricerca possa essere elevata al 90% nel caso di vendita di beni immateriali reinvestiti in attività di ricerca e sviluppo.

Sembrerebbero esclusi dai benefici i professionisti e i lavoratori autonomi, in quanto il decreto si riferisce ai soggetti titolari di reddito di impresa.

Le polemiche legate al difficile calcolo del costo della ricerca utile a determinare la quota di reddito che può essere sottoposta a detassazione ha trovato una prima risposta nell’articolo 3 del decreto, attraverso l’adozione di un calcolo semplificato per le Pmi. Da questo giornale era stato già evidenziato che un calcolo, come quello previsto per il credito di imposta, avrebbe reso inutile anche questo strumento per le Pmi.

Per gli esercizi dal 2016 al 2019 sappiamo già che l’opzione dovrà essere comunicata nella relativa dichiarazione dei redditi, mentre per l’esercizio 2015 dobbiamo attendere le istruzioni che saranno contenute in un apposito provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate.

L’obiettivo della norma è chiaro: trattenere in Italia le aziende che fanno innovazione sistematica, stimolare gli investimenti in ricerca e sviluppo, bloccare la fuga dei gruppi multinazionali all’estero. Infine stimolare le società italiane insediate all’estero a riportare in Italia sedi produttive e centri di ricerca.

Il governo ha messo in conto una riduzione del gettito fiscale, circa 150 milioni di euro per il primo anno, a cui, però, dovrebbe corrispondere un aumento del Pil e soprattutto dei posti di lavoro.

Qualche problema potrebbe derivare dai dubbi della Commissione europea e dalla contrarietà di alcuni paesi dell’Unione, prima fra tutti la Germania: il ministro delle finanze tedesco Wolfang Schäuble ha più volte criticato l’adozione del patent box da parte di alcuni paesi europei, ritenendolo una forma di concorrenza fiscale dannosa, i cui effetti sarebbero in contrasto con lo spirito europeo. Ma in Europa sono numerosi i paesi che hanno già adottato misure analoghe: Ungheria, Belgio, Gran Bretagna, Cipro, Olanda, Lussemburgo e Spagna.

Ma non c’è dubbio che per l’Italia agevolare la tassazione di questi redditi, che a regime sarebbero soggetti a un’aliquota Ires del 13,75% e al dimezzamento delle aliquote Irap, Irpef e addizionali, significa evitare una dispersione di risorse, rendere più competitivo il sistema-Paese e incentivare l’innovazione e la proprietà intellettuale.

Marino Longoni – 20 luglio 2015 – tratto da Italia Oggi

Altre notizie