La Corte di Cassazione (con la sentenza n. 8823/2015 dello scorso aprile) torna ancora una volta sulla materie delle spese che, certamente come nessun'altra, cattura l'attenzione dei condomini, attivando – da sempre – un copioso e tenace contenzioso. In particolare , il caso affrontato è quello della ripartizione delle spese di esercizio e di conservazione dell'impianto di ascensore per le quali lo specifico condominio aveva approvato una tabella con percentuali “personalizzate” del 40/60 per cento, in luogo del 50/50 per cento di cui all'art. 1124 cod. civ. e, per di più, attribuiva ad una delle unità immobiliari un'altezza diversa da quella reale. Il Supremo Collegio concludeva per l'illegittimità di tale “tabella” per la carenza del consenso unanime di tutti i condomini, unico strumento per validare una siffatta regolamentazione in deroga all'art. 1124 cod. civ.
La pronuncia ci consente di tornare sui principi che regolano la ripartizione delle spese in condominio, meccanismo rimasto inalterato anche a seguito dell'entrata in vigore della c.d. “riforma” (legge n. 220/2012 e d.l. 145/2013) che ha lasciato praticamente intonsi gli artt. 1123/1126 cod. civ. (fatta salva l'estensione espressa dell'art. 1124 cod. civ., all'impianto di ascensore, aspetto di cui mai la giurisprudenza aveva dubitato, applicando nel passato ugualmente tale norma, sia pure in via necessariamente analogica).
Andando per sintetici punti, su tale materia va ricordato che:
 i condomini sono tenuti – in quanto titolari delle unità immobiliariØ comprese nell'edificio, e al contempo quali comproprietari pro indiviso dei beni e degli impianti condominiali – a contribuire al pagamento dei costi della gestione del fabbricato e alla manutenzione delle relative “parti comuni” (v. art. 1118 cod. civ., nonché l'art. 1104 cod. civ. previsto per la comunione, ma estensibile al condominio ex art. 1139 cod. civ.);
 di tali costi, vaØ effettuata una ripartizione tra i condomini applicando, obbligatoriamente, i criteri previsti dall'art. 1123 cod. civ., in base ai quali: a) se l'utilità fornita è paritaria per tutti i partecipanti, le relative spese vanno ripartite a millesimi generali (c.d. Tabella A di proprietà); b) se l'utilità non è paritaria, la ripartizione deve rappresentare (quantitativamente) il vantaggio fornito; c) qualora, sempre di detta utilità, ne usufruiscano una parte dei condomini, la ripartizione deve riguardare solo il relativo “gruppo” di interessati;
 di alcune tipologie di spese (previste dagli artt. 1124, 1125Ø e 1126 cod. civ.), tra le quali sono ricompresi proprio i costi per l'impianto di ascensore, il legislatore fornisce altri vincolanti criteri di ripartizione;
 i quorum maggioritari per l'approvazione delle ripartizioniØ di spesa sono quelli previsti generalmente per la seconda convocazione (art. 1136, comma 3, cod. civ.: “maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio”) nel caso di spesa di entità non notevole, mentre sono quelli previsti per la prima convocazione (art. 1136, comma 2, cod. civ.: “maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio”) qualora l'importo sia, al contrario, di notevole entità (aspetto da verificare caso per caso);
 nell'ipotesi che la ripartizione siaØ rappresentata in una “tabella”, i quorum di approvazione sono sempre quelli del predetto comma 2 dell'art. 1136 cod. civ., in considerazione che trattasi di un “documento” di natura regolamentare (e, quindi, applicabile non solo una tantum, ma per tutta la vita dell'edificio, cioè tutte le volte che si verifica la necessità di ripartire la medesima spesa – si pensi, proprio, alla tabella “scale” e/o a quella “ascensore”). Infatti, detti quorum sono anche quelli previsti per l'approvazione del regolamento di condominio di natura assembleare (come disposto dall'art. 1138 cod. civ.);
 qualunque altra diversaØ ripartizione (che non rispetti tali parametri codicistici, ma sia basata su criteri “personalizzati”) per esser vincolante deve necessariamente esser approvata all'unanimità da tutti i condomini, cioè contrattualmente. Infatti, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che l'assemblea, quando delibera un'approvazione ha una discrezionalità del tutto limitata, potendo soltanto applicare la legge, senza introdurre alcuna deroga;
 la suddettaØ ripartizione di spesa “personalizzata”, cioè contrattuale, è quella che l'art. 1123 denomina “diversa convenzione”, e, solitamente, nel concreto può avere ad oggetto le seguenti ipotesi pratiche: a) applicazione alla specifica fattispecie di un criterio diverso da quello previsto dalla legge (si pensi, per esempio, all'applicazione della “tabella A proprietà” alle spese per le scale, da ripartirsi invece ex art. 1124 cod. civ.); b) modificazione di un criterio previsto dalla legge (si pensi all'applicazione della ripartizione 1/4 – 3/4 in luogo di quella 1/3 – 2/3 prevista dall'art. 1126 cod. civ.), oppure, come nella nostra sentenza (Cass. 8823/2015), il cambiamento delle quote 50% per altezza e 50% per proprietà di cui all'art. 1124 cod. civ. in quote con diverse percentuali: 40-60%; c) esclusione di uno o più condomini nella ripartizione alla quale dovrebbero contribuire ex lege; d) al contrario, inclusione nel caso in cui non dovrebbero partecipare (al predetto “gruppo”); e) maggiorazioni e/o riduzioni percentuali sugli importi di spesa; f) applicazione della ripartizione per quote identiche (criterio assolutamente non previsto dal codice civile, nonostante alcune pronunce di merito lo ritengano – ma erroneamente – validamente applicabile ad alcune particolari ipotesi: antenna, citofono…);
 è necessario il consenso unanime (contrattuale) anche qualora laØ ripartizione personalizzata sia contenuta in una “tabella”, essendo irrilevante (rispetto ai consensi che si rendono necessari) che il criterio in deroga alla legge riguardi una spesa una tantum o un criterio di ripartizione applicabile più volte nel futuro.
Come si vede il sistema previsto dal codice per la ripartizione delle spese condominiali è piuttosto rigido e riduce fortemente la discrezionalità dei condomini, privilegiando, ove è possibile criteri aritmetici potenzialmente incontestabili (si pensi all'altezza nel caso della tabella scale/ascensore). Ne risulta, implicita ma evidente, l'intenzione del legislatore del 1942 (confermata da quello della riforma del 2012) di privilegiare la gestione del fabbricato, evitando al massimo occasioni di incertezza.

Luigi Salciarini - 23 luglio 2015 – tratto da sole24ore.com

 

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