Una semplificazione mancata. L’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori è stato modificato dall’articolo 23 del Jobs act, una norma che si proponeva di adeguare la disciplina dei controlli a distanza sui lavoratori ai nuovi strumenti tecnologici, rendendoli utilizzabili con il minimo di pastoie burocratiche per le imprese. Il risultato è stato un aumento della complessità gestionale e dei dubbi interpretativi.

In particolare, per le apparecchiature da cui può derivare un controllo del lavoratore finalizzato alla tutela del patrimonio aziendale, mentre con le vecchie regole esisteva una giurisprudenza ampiamente consolidata che escludeva la necessità di un accordo sindacale o di un’autorizzazione amministrativa, adesso queste procedure sembrano necessarie.

Banalmente, la telecamera per stanare chi prendeva i soldi dalla cassa aziendale è uno strumento di tutela del patrimonio, ma ne può derivare un controllo sul lavoratore: quindi serve l’autorizzazione che prima il 99% delle sentenze considerava inutile.

Sugli strumenti di lavoro la confusione è massima: secondo alcuni quando dall’uso di posta elettronica, smartphone, gps sull’auto aziendale ecc. può derivare un controllo sul lavoratore servirebbe la procedura sindacale o l’autorizzazione amministrativa. Pizzetti, ex garante privacy, sostiene pubblicamente che se gli strumenti informatici diventano uno strumento di controllo indiretto del lavoratore è necessaria l’autorizzazione o l’accordo.

Secondo altri invece il comma 2 dell’articolo 4 basta a escludere questi oneri burocratici per l’azienda, anche perché una lettura diversa finirebbe per svuotare completamente la riforma da ogni effetto di semplificazione.

Il ministero del lavoro finora non ha preso posizione, limitandosi ad affermare che va comunque rispettato il codice della privacy: precisazione poco incisiva perché lo stesso codice ammette che il mancato rispetto delle norme ivi contenute non impedisce comunque al datore di lavoro di utilizzare in giudizio gli elementi raccolti. Alcune grandi società hanno già inoltrato richiesta al ministero di autorizzazione all’installazione di impianti di controllo audiovisivo o geolocalizzazione o app sugli smartphone dei dipendenti (le nuove norme prevedono espressamente la possibilità, per chi ha più sedi sul territorio nazionale, di rivolgere un’unica richiesta a livello nazionale invece di più richieste a livello locale, come era in passato), ma la risposta è stata un gentile diniego e un rinvio alla sede territorialmente competente. Certo, non un grande aiuto.

Il terzo comma dell’articolo 4 dispone invece che le informazioni raccolte con questi strumenti possono essere utilizzate per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, quindi anche per un procedimento disciplinare. A condizione che «sia data al lavoratore adeguata informazione sulle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli».

Il datore di lavoro dovrebbe quindi fare una ricognizione degli strumenti di lavoro, degli impianti audiovisivi e di tutti gli strumenti che permettono un controllo a distanza e prevedere un regolamento interno per ciascuno di essi al fine di disciplinare l’utilizzo consentito dall’azienda, elencando anche in modo dettagliato le modalità di controllo che potranno essere poste in essere dall’azienda stessa. Volendo essere pignoli resterebbe ancora da capire se sugli strumenti di lavoro è necessario attivare anche la procedura di accordo sindacale o autorizzazione amministrativa e se sia necessario anche il consenso del lavoratore per il trattamento dei dati personali. E la chiamano semplificazione!

Marino Longoni – 08 febbraio 2016 – tratto da Italia Oggi

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