In caso di contratto a tempo determinato, il termine si ha come non apposto se il datore non ha rispettato l’obbligo di valutazione dei rischi previsto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro. Pertanto, il contratto, formalmente a tempo determinato, è, invece, da considerare a tempo indeterminato fin dall’inizio e il lavoratore, se lasciato a casa dopo lo spirare del termine, andrà riammesso al lavoro. Questo è quanto deciso dal Tribunale di Udine con la sentenza 105/2017 (giudice Berardi). Il Tribunale ha anche chiarito che il dipendente ha diritto ad essere risarcito, in base all’articolo 32 comma 5, della legge 183/2010, con un’indennità onnicomprensiva che copre il periodo tra la scadenza del termine e la sentenza che dichiara la conversione a tempo indeterminato del contratto.
La vicenda
Alcuni lavoratori sono assunti come operai a tempo determinato da una cooperativa, nell’ambito di un appalto. I dipendenti, una volta conclusosi il rapporto, impugnano l’apposizione del termine, contestando vari profili, tra cui, in specie, che il termine stesso inserito nel contratto individuale fosse illegittimo per assenza di valutazione dei rischi per la sicurezza. Il datore, da parte sua, evidenzia vari aspetti, tra cui quello sostanziale della mancanza di commesse.
La norma di riferimento
All’epoca dei fatti la norma regolatrice era l’articolo 3 del Dlgs 368/2001. Questa legge in materia di tempo determinato prevedeva il divieto di apposizione del termine alla durata di un contratto a carico delle imprese che non avessero effettuato la valutazione dei rischi in base all’allora vigente Dlgs 626/1994. Ora la stessa norma è solo formalmente abrogata dal Dlgs 81/2015, che, di fatto, con l’articolo 20 regola la tematica in modo identico. La norma attualmente vigente, peraltro, oltre al divieto, stabilisce, in caso di violazione, la sanzione della trasformazione del contratto da tempo determinato a contratto indeterminato.
La sentenza
Il Tribunale, esaminato il caso, si sofferma sull’inadempimento relativo alla valutazione dei rischi. Il giudice, infatti, chiarisce (in tal senso, conformemente, alla sentenza di Cassazione 21418/2016) che la normativa allora vigente (articolo 4 del Dlgs 626/1994; articolo 3 del Dlgs 368/2001) stabiliva che l’apposizione di termine a un contratto di lavoro non fosse possibile da parte di imprese che non avessero effettuato, preventivamente, la valutazione dei rischi per la sicurezza. Inoltre, il giudice, condividendo l’orientamento prevalente di Cassazione (sezione lavoro n. 5241/2012), stabilisce che il contratto di lavoro fosse da intendere a tempo indeterminato, ex articolo 1339 e 1419, secondo comma, del Codice civile.
Infine, il giudice ha constatato la mancata produzione in giudizio, da parte della cooperativa, del documento di valutazione dei rischi .
II Tribunale, pertanto, ha stabilito che il rapporto di lavoro fosse da considerare a tempo indeterminato dall’origine, per nullità della clausola del termine. E oltre a condannare la cooperativa alla reintegra, le ha imposto di risarcire i lavoratori con un’indennità per il periodo tra la conclusione del contratto a tempo determinato e la conversione a tempo indeterminato.
Aldo Monea - 31 luglio 2017 – tratto da sole24ore.com