L’obbligo di tutelare gli interessi finanziari dell'Unione europea dev'essere conciliato con il rispetto del principio di legalità dei reati e delle pene
Pertanto, i giudici italiani, in procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di Iva, non sono tenuti a disapplicare le norme nazionali sulla prescrizione (sulla base della sentenza Taricco) se ciò contrasta con il suddetto principio. Questa la decisione della Corte Ue nella causa C-42/17, M.A.S e M.B.

La Corte suprema di cassazione italiana e la Corte d'appello di Milano devono pronunciarsi in procedimenti penali a carico, rispettivamente, del sig. M.B. e del sig. M.A.S., accusati di frodi gravi in materia di Iva , che rischierebbero di rimanere impunite se dovessero essere applicate le norme del codice penale italiano sulla prescrizione. Tali procedimenti potrebbero invece concludersi con una condanna se il termine di prescrizione previsto da tali norme venisse disapplicato sulla base dei principi espressi dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco , pronunciata in un momento successivo alla commissione dei reati. In tale sentenza, la Corte ha interpretato l'articolo 325 Tfue, secondo cui la Ue e gli Stati membri hanno il dovere di combattere contro la frode e tutte le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell'Unione e di offrire una protezione efficace a tali interessi.

In particolare, la Corte ha dichiarato, nella sentenza Taricco, che la normativa italiana sulla prescrizione dei reati in materia di Iva può violare l'articolo 325 Tfue nell'ipotesi in cui essa impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari nazionali, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi che ledono gli interessi finanziari dell'Unione. La Corte ha inoltre affermato che i giudici nazionali sono tenuti a dare piena efficacia all'articolo 325 Tfue, disapplicando, all'occorrenza, le norme sulla prescrizione.

La Corte di cassazione e la Corte d'appello di Milano hanno tuttavia ritenuto che i principi derivanti dalla sentenza Taricco potessero comportare una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene, sancito nella Costituzione italiana. Esse si sono di conseguenza rivolte alla Corte costituzionale italiana.

La Corte costituzionale ha sollevato dubbi sulla compatibilità della soluzione che emerge dalla sentenza Taricco con i principi supremi dell'ordine costituzionale italiano e con il rispetto dei diritti inalienabili della persona. In particolare, secondo tale organo giurisdizionale, questa soluzione potrebbe ledere il principio di legalità dei reati e delle pene, il quale impone, segnatamente, che le norme penali siano determinate con precisione e non possano essere retroattive. Essa ha quindi deciso di chiedere alla Corte un chiarimento sul significato da attribuire all'articolo 325 Tfue, letto alla luce della sentenza Taricco.

Con la sua odierna sentenza, emessa nell'ambito di un procedimento accelerato , la Corte rileva che l'articolo 325 Tfue pone a carico degli Stati membri obblighi di risultato che non sono accompagnati da alcuna condizione quanto alla loro attuazione. Spetta quindi ai giudici nazionali competenti dare piena efficacia agli obblighi derivanti dall'articolo 325 Tfue, in particolare applicando i principi enunciati nella sentenza Taricco. La Corte, peraltro, osserva che spetta in prima battuta al legislatore nazionale stabilire norme sulla prescrizione che consentano di ottemperare agli obblighi derivanti dall'articolo 325 Tfue.

Tuttavia, la Corte rileva che, secondo la Corte costituzionale, ai sensi del diritto italiano, la prescrizione rientra nel diritto sostanziale e resta quindi soggetta al principio di legalità dei reati e delle pene. In tale contesto, essa richiama, da un lato, i requisiti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività della legge penale derivanti dal principio di legalità dei reati e delle pene, sancito nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea nonché nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e, dall'altro, il fatto che tale principio riveste importanza essenziale tanto negli Stati membri quanto nell'ordinamento giuridico dell'Unione. Di conseguenza, l'obbligo di garantire un'efficace riscossione delle risorse dell'Unione derivante dall'articolo 325 Tfue non può contrastare con il principio di legalità dei reati e delle pene.

Pertanto, la Corte conclude che quando un giudice nazionale, in procedimenti riguardanti persone accusate di aver commesso reati in materia di IVA, ritiene che l'obbligo di applicare i principi enunciati nella sentenza Taricco contrasti con il principio di legalità, esso non è tenuto a conformarsi a tale obbligo, e ciò neppure qualora il rispetto del medesimo consentisse di rimediare a una situazione nazionale incompatibile con il diritto dell'Unione.

5 dicembre 2017 – tratto da sole24ore.com

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