L'assenza di organizzazione aziendale e di dipendenti in una ditta di pulizie rende inesistenti le prestazioni rese (e quindi le fatture emesse). Tanto più se ai pagamenti effettuati con bonifico dall'impresa committente fanno seguito sistematicamente prelievi di contante per il medesimo importo da parte del prestatore, che fanno supporre una retrocessione delle somme all'imprenditore. È quanto affermato dalla 3ª sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 38822/18, depositata ieri. I giudici di palazzo Cavour hanno respinto il ricorso proposto da due soci accomandatari di una sas, condannati dalla Corte d'appello di Ancona a 11 mesi di reclusione per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (articolo 2 del dlgs n. 74/2000).

I titolari dell'impresa di pulizie sostenevano che, nel corso del giudizio di merito, erano state raccolte alcune testimonianze comprovanti l'effettività dei servizi fatturati, ancorché le prestazioni fossero state rese da personale non formalmente assunto. I prelievi di cash dal conto della ditta, aggiungeva la difesa, non nascondevano inoltre alcuna restituzione extra contabile di denaro, in assenza di prove in tal senso da parte della pubblica accusa.

Diversa però l'interpretazione della Suprema corte. Secondo gli ermellini, l'attività di fornitura di servizi di pulizia «non può certo prescindere da una sia pur rudimentale struttura organizzativa e contabile». Nel caso di specie, oltre a non aver alcun dipendente, i giudici di legittimità sottolineano come «nessuno avesse mai visto all'opera negli uffici della società committente il personale incaricato della pulizia». Una circostanza da sommare al fatto che i pagamenti effettuati, ancorché tracciabili, «erano sempre accompagnati sul conto corrente dell'impresa da altrettanti prelievi di contante, peraltro di rilevante consistenza, del tutto compatibili con una sospetta restituzione delle somme agli imputati». Da qui l'inammissibilità dei ricorsi, la condanna dei due soci della sas alle spese processuali e al versamento di 2 mila euro alla Cassa delle ammende.

Valerio Stroppa – 29 agosto 2018 – tratto da Italia Oggi

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