Le autorità nazionali di vigilanza finanziaria possono dover dare accesso a informazioni coperte dal segreto professionale per garantire i diritti della difesa o per il loro utilizzo nell'ambito di un procedimento civile o commerciale. Spetta alle autorità e ai giudici nazionali competenti effettuare un bilanciamento tra gli opposti interessi delle parti. Questo l’esito delle sentenze della Corte Ue C-358/16 e C-594/16.La seconda riguarda un caso italiano.

La causa C-358/16
Nel 2010, la Commission luxembourgeoise de surveillance du secteur financier (commissione lussemburghese di vigilanza del settore finanziario, «Cssf») ha ritenuto che il sig. DV non fosse più affidabile e che dovesse pertanto dimettersi dalle sue funzioni di amministratore presso un ente vigilato dalla Cssf. La Cssf ha motivato la sua decisione, tra l'altro, sulla base del ruolo svolto da XY nella costituzione e nell'esercizio della Luxalpha, una società che sarebbe stata coinvolta nelle condotte fraudolente di Bernard Madoff.

Per poter provvedere alla sua difesa, XF ha chiesto alla Cssf di trasmettergli alcuni documenti che essa aveva raccolto nell'ambito della vigilanza esercitata sulla Luxalpha e sulla banca depositaria di quest'ultima, l'Ubs. Secondo DV, detti documenti sono indispensabili per comprendere il ruolo dei vari intervenienti nella costituzione della Luxalpha, in particolare, nel contesto della causa Madoff. La Cssf si è opposta alla trasmissione dei documenti invocando il suo obbligo di rispettare il segreto professionale in qualità di autorità di vigilanza del settore finanziario.

Adita di tale controversia, la Corte amministrativa di Lussemburgo si domanda se l'obbligo del segreto professionale imponga alla Cssf di rifiutare la comunicazione dei documenti richiesti da XY. Infatti, la direttiva sui mercati degli strumenti finanziari dispone che il segreto professionale può, in via eccezionale, essere escluso nei casi contemplati dal diritto penale. La Corte amministrativa di Lussemburgo si chiede se tale disposizione sia applicabile nel caso di specie, dal momento che la misura imposta a XY è, secondo il diritto lussemburghese, di natura amministrativa, ma rientrerebbe nel diritto penale nel senso ampio definito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. In caso di risposta negativa, tale organo giurisdizionale si domanda come conciliare l'obbligo del segreto professionale con il rispetto dei diritti della difesa.

La causa C-594/16
WH è titolare dal 2004 di un conto corrente aperto presso un ente creditizio italiano, la Banca Network Investimenti Spa («Bni»). In seguito alla procedura di liquidazione coatta amministrativa di tale ente nel 2012, WH ha ricevuto esclusivamente un rimborso parziale dal Fondo interbancario di tutela dei depositi.

Nel 2015, per ottenere informazioni supplementari al fine di valutare l'opportunità di agire in giudizio contro la Banca d'Italia («BdI») e contro la Bni per i danni subiti, WH ha chiesto alla BdI la divulgazione di vari documenti relativi alla vigilanza sulla Bni.

La BdI ha respinto parzialmente tale domanda, sostenendo, in particolare, che taluni documenti di cui era stata chiesta la divulgazione contenevano informazioni riservate coperte dall'obbligo del segreto professionale ad essa incombente. WH ha, quindi proposto dinanzi agli organi giurisdizionali amministrativi italiani un ricorso diretto all'annullamento di tale decisione.

Il Consiglio di Stato, giudice di ultimo grado, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte alcune questioni. Esso chiede alla Corte se la direttiva 2013/36 osti a che le autorità competenti degli Stati membri (nel caso di specie, la BdI) divulghino informazioni riservate a una persona che ne faccia richiesta per poter avviare un procedimento civile o commerciale volto alla tutela di interessi patrimoniali che sarebbero stati lesi a seguito della messa in liquidazione coatta amministrativa di un ente creditizio.

Nella sua odierna sentenza nella causa C-358/16, la Corte considera innanzitutto che la direttiva sui mercati degli strumenti finanziari, nel prevedere che l'obbligo del segreto professionale possa, in via eccezionale, essere escluso nei casi contemplati dal diritto penale, fa riferimento solo alla trasmissione o all'utilizzo di informazioni riservate ai fini di azioni penali esercitate e di sanzioni inflitte ai sensi del diritto penale nazionale.

La Corte esamina in seguito in quale misura l'obbligo di segreto professionale previsto in tale direttiva sia limitato dal rispetto dei diritti della difesa sanciti nella carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. A tale riguardo, la Corte considera che il diritto alla comunicazione dei documenti pertinenti ai fini della difesa non è illimitato e assoluto e che la tutela della riservatezza delle informazioni coperte dal segreto professionale che incombe sulle autorità competenti deve essere garantita e attuata in modo da conciliarla con il rispetto dei diritti della difesa.

La Corte rammenta che spetta alle autorità e agli organi giurisdizionali competenti ricercare, alla luce delle circostanze di ciascun caso di specie, un equilibrio tra tali interessi contrapposti. Quindi, qualora un'autorità competente deduca il segreto professionale di cui alla direttiva, al fine di rifiutare la comunicazione di informazioni in suo possesso che non sono incluse nel fascicolo relativo al soggetto interessato da un atto che gli arreca pregiudizio, spetta al giudice nazionale competente stabilire se tali informazioni sono obiettivamente collegate agli addebiti mossi nei suoi confronti e, in caso affermativo, procedere al bilanciamento degli interessi in conflitto prima di decidere in merito alla comunicazione di ciascuna delle informazioni richieste. 

Nella causa C-594/16, la Corte ricorda anzitutto che l'attuazione efficace del regime di vigilanza prudenziale sugli enti creditizi richiede che sia gli enti creditizi vigilati sia le autorità competenti debbano avere la certezza che le informazioni riservate fornite conserveranno in linea di principio il loro carattere riservato. È dunque al fine di tutelare non solo gli specifici interessi degli enti creditizi direttamente coinvolti, ma anche l'interesse generale collegato alla stabilità del sistema finanziario all'interno dell'Unione che la direttiva 2013/36 impone, come regola generale, l'obbligo del segreto professionale.

La Corte osserva inoltre che la direttiva 2013/36 prevede eccezioni a tale principio generale. Nel caso di specie, tale direttiva consente all'autorità competente di divulgare alle sole persone direttamente interessate dal fallimento o dalla liquidazione coatta amministrativa dell'ente creditizio informazioni riservate che non riguardino i terzi coinvolti in tentativi di salvataggio di tale ente, ai fini del loro utilizzo nell'ambito di procedimenti civili o commerciali.

La Corte rileva che, conformemente a una giurisprudenza consolidata, si deve adottare un'interpretazione restrittiva delle eccezioni al divieto generale di divulgare informazioni riservate. Di conseguenza, la possibilità di escludere l'obbligo del segreto professionale richiede che la domanda di divulgazione verta su informazioni in merito alle quali il richiedente fornisca indizi precisi e concordanti che lascino plausibilmente supporre che esse risultino pertinenti ai fini di un procedimento civile o commerciale in corso o da avviare, il cui oggetto dev'essere concretamente individuato dal richiedente e al di fuori del quale le informazioni di cui trattasi non possono essere utilizzate.

Spetta alle autorità e ai giudici competenti effettuare un bilanciamento tra l'interesse del richiedente a disporre delle informazioni di cui trattasi e gli interessi legati al mantenimento della riservatezza delle stesse informazioni coperte dall'obbligo del segreto professionale, prima di procedere alla divulgazione di ciascuna delle informazioni riservate richieste.

Enrico Bronzo - 13 settembre 2018 – tratto da sole24ore.com

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