Trascorrere all'estero la maggior parte del periodo d'imposta ed essere iscritti all'Aire può non bastare per essere considerati fiscalmente non residenti. La titolarità di un contratto di affitto in Italia, per un'abitazione nella quale continuano a vivere moglie e figlio, fa scattare una presunzione di domicilio «a prescindere dalla reale presenza fisica del soggetto». Deve essere poi il contribuente a dimostrare all'amministrazione finanziaria l'effettività della residenza oltreconfine. E qualora scattasse un conflitto di residenza, ossia entrambi gli stati coinvolti considerassero «proprio» il cittadino ai fini tributari, si deve fare applicazione delle regole di risoluzione previste dal Modello Ocse. Il chiarimento arriva dall'Agenzia delle entrate, che nella risposta a interpello n. 25 di ieri ha fornito un riepilogo degli adempimenti dichiarativi ai fini delle imposte dirette da parte di un soggetto iscritto all'Aire. Il contribuente si era trasferito per lavoro in Lussemburgo nel 2017, spostando la propria residenza anagrafica presso un'abitazione presa in affitto. Allo stesso tempo, la sua famiglia era rimasta in Italia, in un appartamento il cui contratto di locazione, assicurazione ed utenze erano intestate a lui. Da qui il dubbio dell'espatriato circa la propria posizione fiscale, dopo che il suo commercialista aveva considerato il suo centro di interessi nel Granducato (situazione che, se confermata, escluderebbe da imposizione in Italia la retribuzione percepita all'estero). L'Agenzia precisa in primo luogo che la verifica dell'effettiva residenza fiscale estera è una questione di fatto che non può essere accertata in sede di risposta a un'istanza di interpello. In ogni caso, la Direzione centrale persone fisiche evidenzia che nonostante l'iscrizione all'Aire e il soggiorno per più di 183 giorni in un anno solare all'estero il contribuente «potrebbe comunque essere considerato fiscalmente residente in Italia». L'articolo 2, comma 2 del Tuir qualifica infatti come residenti le persone che rispettano almeno uno di tre requisiti: iscrizione in anagrafe per la maggior parte del periodo d'imposta, domicilio o residenza in Italia. La titolarità di un contratto di locazione per l'immobile nel quale vive la famiglia «potrebbe indurre a ritenere che il soggetto abbia nel nostro paese il proprio domicilio», inteso come luogo «in cui una persona, a prescindere dalla reale presenza fisica, ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi», affermano le Entrate. Laddove sia l'Italia sia il Lussemburgo dovessero considerare residente il contribuente, si applicheranno le «tie breaker rules» previste dall'articolo 4, comma 2 della Convenzione contro le doppie imposizioni siglata tra i due paesi. Lo spareggio dovrebbe avvenire con il seguente ordine: ubicazione dell'abitazione permanente, ubicazione del centro degli interessi personali ed economici, dimora abituale, nazionalità della persona. Qualora anche dopo questi test il risultato fosse di parità, le tax authorities dei due paesi dovranno risolvere la questione di comune accordo tramite procedura amichevole.

Valerio Stroppa - 05 ottobre 2018 – tratto da Italia Oggi

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