Soddisfatti o rimborsati. I titolari del permesso di costruire che rinunciano ai lavori, o comunque non utilizzano l'autorizzazione, possono ottenere dal comune la restituzione delle somme in precedenza versate a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione: pesa la natura tributaria degli esborsi. In capo all'amministrazione locale, infatti, si configura un indebito oggettivo e la rifusione del denaro sborsato dal privato può scattare anche pro quota quando il titolo edilizio risulta utilizzato solo in parte. È quanto emerge dalla sentenza 426/19, pubblicata dalla seconda sezione della sede di Brescia del Tar Lombardia.

I fatti. Il comune è condannato a versare oltre 24 mila euro all'impresa edile per effetto dell'accoglimento del ricorso. A suo tempo la ditta ne aveva pagati 55 mila per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione ma poi aveva rinunciato a realizzare le opere assentite: l'avvio dei lavori, dunque, non risultava mai comunicato. In seguito l'impresa voleva costruire quattro appartamenti in un altro comprensorio e aveva bisogno del permesso in sanatoria: con la pronuncia in esame ha ottenuto che l'importo dell'oblazione sia scalato dal versamento precedente e le sia pure restituita la differenza. Il punto è che il contributo concessorio risulta legato alla trasformazione del territorio: il mero pagamento non costituisce acquiescenza all'imposizione e se l'opera non viene realizzata il privato ottiene la restituzione in base all'articolo 2033 c.c. perché manca l'obbligazione di dare. Gli interessi decorrono dalla notifica del ricorso perché non è provata la malafede dell'amministrazione. Il debito dell'ente è di valuta: l'impresa manca di dimostrare che sussiste il maggior danno ex articolo 1224, secondo comma, c.c. e quindi non risulta dovuta la rivalutazione monetaria.

I precedenti: incremento patrimoniale. Il contributo concessorio è uno dei nodi più spinosi da sciogliere in caso di nuove costruzioni. Non è al condominio, per esempio, che il comune può ingiungere il pagamento gli oneri di costruzione e urbanizzazione. La prestazione patrimoniale imposta dall'amministrazione, infatti, compensa l'attività svolta dall'ente che ha assicurato al nuovo insediamento gli allacci alle condotte dell'acquedotto e delle fognature: deve dunque restare a carico di chi è titolare del permesso di costruire, cioè dell'impresa che ha edificato lo stabile. È quanto emerge dalla sentenza 480/19, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Sicilia. Accolto il ricorso del condominio: deve escludersi la legittimazione passiva dell'ente di gestione rispetto alla diffida e poi all'ingiunzione emesse dall'amministrazione locale. Risale al lontano 1990 l'allora concessione edilizia, oggi permesso di costruire: all'originaria titolare subentra un'altra ditta che completa i lavori nel 1992. Dopo vent'anni si sveglia il comune che pretende quasi 255 mila euro per contributi di urbanizzazione, costi di costruzione, penali, interessi e adeguamento. E oltre all'amministratore della società l'altro destinatario del provvedimento è quello del condominio. Che tuttavia non risulta obbligato perché è soltanto il patrimonio del costruttore a essere incrementato dall'intervento edilizio: il rilascio della concessione è fatto costitutivo dell'obbligo giuridico di corrispondere il contributo costituito in capo al cessionario. E il titolare della concessione volturata resta obbligato in solido al pagamento degli oneri con l'avente causa, salva la ripartizione dei costi frutto di accordi interni, a meno che i lavori non siano realizzati del tutto dal terzo.

Modifica onerosa. Può costare caro, poi, anche il semplice cambio di destinazione dell'immobile. Il laboratorio artigianale che diventa locale commerciale paga al comune gli oneri di urbanizzazione anche se la trasformazione non prevede la realizzazione di opere. E ciò perché il cambio di modo d'uso, pur se soltanto funzionale, deve ritenersi oneroso in quanto implica un passaggio fra categorie urbanistiche differenti. È quanto emerge dalla sentenza 309/18, pubblicata dalla terza sezione del tribunale amministrativo regionale della Toscana. Niente da fare per la srl: pagherà il contributo richiesto dal servizio edilizia privata dell'ente locale. Inutile dedurre che il mutamento di destinazione solo funzionale sarebbe attività libera e gratuita salvo diversa disposizione della legge regionale. Per legittimare il comune a pretendere il pagamento non serve il piano di localizzazione o distribuzione delle funzioni né l'adozione di altri atti urbanistici. E ciò perché è in base all'articolo 5 del dm 1444/68 che si ricava come il passaggio da bottega artigianale a esercizio commerciale determini di per sé l'aumento del carico urbanistico dei locali perché deve ritenersi una trasformazione significativa per i valori tutelati dalle norme: va dunque annoverato fra gli interventi da realizzare a titolo oneroso. Non giova allora alla società fare riferimento alla circolare della giunta regionale, che non può mutare l'inquadramento disposto dalla legge.

Obbligo eluso. Attenzione, però: scatta lo stop agli oneri di urbanizzazione quando il comune non sa spiegare come è arrivato a determinare la somma richiesta. Evita dunque il contributo concessorio la spa che intende ristrutturare l'immobile con cambio di destinazione a industriale a commerciale. È quanto emerge dalla sentenza 1498/16, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Calabria.

Il ricorso della società che intende riconvertire lo stabilimento è accolto per la carenza di motivazione del provvedimento adottato dall'amministrazione locale. Un'omissione che peraltro continua anche in corso di causa perché anche dopo la richiesta ad hoc del collegio l'ente locale non riesce a motivare la sua istruttoria e, quindi, a rendere ragione del motivo per cui ha adottato la sua tabella A per addebitare gli oneri di urbanizzazione all'impresa che procede alla ristrutturazione. L'azienda è quindi costretta a ricorrere al giudice perché non ha contezza del procedimento seguito dal punto di vista tecnico, istruttorio e contabile. E invece nel processo amministrativo incombe sull'ente l'onere di leale e fattiva collaborazione all'attività istruttoria disposta dal giudice.

Parcheggi gratis. Niente esborsi, infine, per le opere di utilità comune. L'impresa che realizza l'intervento edilizio non paga il contributo di costruzione sui parcheggi: il titolo per costruire, infatti, deve ritenersi gratuito per i posteggi perché costituiscono un'opera di urbanizzazione utile agli interessi della viabilità anche senza la mediazione di alcun edificio. Il tutto grazie alla legge regionale lombarda che ha superato il requisito della pertinenzialità al fabbricato. È quanto emerge dalla sentenza 192/18, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Milano. Accolto il ricorso dell'impresa che sta realizzando l'intervento edilizio nell'area di sua proprietà: si tratta della demolizione del fabbricato esistente e della ricostruzione, sempre a scopi residenziali, nel rispetto della volumetria precedente. Il comune dell'hinterland ambrosiano deve restituire alla società oltre 110 mila euro, vale a dire l'equivalente del contributo di costruzione relativo ai parcheggi. Il regime di gratuità dei posteggi si applica anche agli edifici nuovi e non soltanto a quelli preesistenti. E non può dirsi che la legge lombarda stravolga la nozione di opere di urbanizzazione: i parcheggi costruiti all'interno dei comprensori abitativi, infatti, realizzati anche in eccedenza alla quota minima prevista per legge salvano le strade dalla sosta selvaggia delle auto e dunque contribuiscono a ridurre il traffico dei veicoli. D'altronde già in passato la normativa regionale qualificava i parcheggi come opere di urbanizzazione e dunque avrebbe dovuto far scattare lo stop al contributo di costruzione.

Dario Ferrara – 10 giugno 2019 – tratto da Italia Oggi

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