Il marito non può entrare nel profilo skype della moglie, per raccogliere le prove del suo adulterio e giocarsele in tribunale per addossarle la responsabilità della separazione. La Cassazione, con la sentenza 34141, torna a mettere il dito tra mogle e marito.

E, in particolare, per quanto riguarda la ricerca delle prove dei tradimenti. Se con la sentenza 33499 del 24 luglio scorso aveva escluso il reato per la moglie sospettosa che fa installare cimici e Gps nell’auto del marito, questa volta bolla come reato l’accesso a Skype , protetto da una password, fatto dall’uomo. Un’iniziativa sulla quale non avevano avuto nulla in contrario i giudici di merito che, sia in primo grado sia in appello, avevano assolto l’imputato dal reato di accesso abusivo, considerando una giusta causa l’intento di stampare, come aveva poi fatto, foto e conversazioni della chat, con il presunto amante, per utilizzarle davanti al giudice, che doveva decidere sulla separazione.

Di diverso avviso la Cassazione, che non perdona l’intrusione. Neppure se fosse stato vero che, come affermato dalla difesa, il computer era già aperto su skype e si trovava in sala da pranzo: dunque in uno spazio comune. Per la Suprema corte è rilevante il fatto che l’improvvisato detective, si sia pacificamente trattenuto all’interno del sistema, navigando sul profilo della ricorrente, leggendo e stampando pagine di foto intime e conversazioni con un terzo, pur consapevole, dell’ovvia, volontà contraria della moglie.

Patrizia Maciocchi - 26 luglio 2019 – tratto da sole24ore.com

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