Gli automobilisti italiani sono in assoluto i più tartassati d’Europa. Un primato che non ci invidia nessuno e che resta inattaccabile, grazie alle imposte più alte e alle regole più severe in materia di deduzioni e detrazioni. Infatti in Italia l’aliquota Iva sull’acquisto delle automobili è del 22%, contro il 19% della Germania e il 20% di Francia e Gran Bretagna. E se nella prossima legge di Stabilità Renzi non dovesse trovare i soldi necessari per annullare, in tutto o in parte, la clausola di salvaguardia introdotta con la legge di Stabilità del 2014, il peso dell’imposta è destinata a salire ancora. Inoltre in alcuni paesi, come Germania e GB, non si pagano tasse di immatricolazione, che incidono nel Belpaese per 300/500 euro su ogni auto di media cilindrata. Anche in tema di deducibilità gli automobilisti italiani sono i più penalizzati, potendo portare in deduzione solo il 20% dei costi di acquisto e con un tetto massimo di 18 mila euro (in pratica 900 euro l’anno per quattro anni di ammortamento): limiti questi del tutto sconosciuti negli altri paesi dell’Unione. Ancora, in materia di Iva, l’auto aziendale italiana è deducibile solo al 40% contro il principio generale accettato negli altri paesi della deducibilità integrale.
In pratica un’auto aziendale del costo di 30 mila euro beneficia in Germania di 30 mila euro di detrazioni e deduzioni, in Francia di 23.300 euro, in Italia solo 5.800 euro.
Sui carburanti le accise pagate in Italia sono da podio. L’erario aggiunge infatti 0,728 euro per ogni litro di benzina e 0,617 euro per ogni litro di gasolio. In entrambi i casi si tratta della seconda tassazione più pesante su 29 stati europei. Con la conseguenza che cali consistenti del prezzo del greggio, come quelli che si stanno verificando in questi giorni, si traducono in riduzioni quasi impercettibili sul prezzo del carburante.
Come se non bastasse, l’Agenzia delle entrate peggiora ulteriormente un quadro normativo già di per sé molto penalizzante, con interpretazioni vessatorie per il contribuente, perché eccessivamente sbilanciate sugli interessi dell’erario. Per esempio, mentre la norma consente la deducibilità integrale dei costi alle auto strumentali, una circolare delle Entrate ha ristretto oltremisura questa categoria fino a ricomprendervi solo i «veicoli senza i quali l’attività stessa non può essere esercitata»: così l’auto che il pizzaiolo usa per le consegne a domicilio è certamente un bene strumentale ma per il fisco italiano sarebbe escluso dalla deducibilità integrale.
Altro caso: la deducibilità del 70% dei costi dell’auto data in uso al dipendente non si applicherebbe, secondo l’Agenzia delle entrate, all’amministratore, pur essendo questo titolare di un reddito assimilato a quello di lavoro dipendente. Resta da chiedersi per quale motivo l’automobilista italiano è disposto a sopportare angherie che in nessun altro paese civile si sognano di accettare: forse perché il rapporto che lo lega alle sue quattro ruote non è, di solito, qualcosa di meramente strumentale, ma è emozionale. Qualcosa che spesso sconfina nella passione. L’automobile in Italia non è un mezzo per spostarsi velocemente e senza bagnarsi quando piove. L’auto in Italia è status symbol, è sogno di libertà, è realizzazione di un desiderio coltivato fin dall’infanzia. Il fisco, colto il punto debole, cinicamente, ne approfitta.

Marino Longoni – 31 agosto 2015 – tratto da Italia Oggi

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