Il 1° gennaio 2016per le collaborazioni scatta l’applicazione di due previsioni di rilievo del codice dei contratti (Dlgs 81/2015) uno dei pilastri del Jobs act che, dal 25 giugno 2015, ha mandato in pensione il contratto a progetto, mantenendo in vigore la relativa disciplina solo per i contratti in essere fino alla loro scadenza.

Ora, con il nuovo anno, si completa il quadro. Una prima disposizione (articolo 2, comma 1 del Dlgs 81/2015) è destinata a ridisegnare la linea di confine tra lavoro autonomo e subordinato. Fatte salve alcune eccezioni tassativamente previste, «a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro».

È certamente vero che, dopo l’abolizione del contratto a progetto, è ancora possibile stipulare contratti che abbiano a oggetto collaborazioni coordinate e continuative, senza peraltro la necessità di ricondurle a un progetto e senza nemmeno la necessità di apporvi un termine, e quindi anche a tempo indeterminato. Ma la nuova norma disegna uno scenario in cui le collaborazioni coordinate e continuative sono soggette a maggiori restrizioni rispetto al passato. Quelle che presentino le caratteristiche dell’organizzazione da parte del committente del luogo di svolgimento e della tempistica relativi all’adempimento della prestazione lavorativa (cioè della etero direzione) saranno assoggettate alla disciplina del lavoro subordinato. Rimarranno genuinamente autonome, in sostanza, solo quelle collaborazioni in cui sia il collaboratore a decidere come, dove e quando lavorare. Il coordinamento, in altre parole, resta compatibile con l’autonomia del rapporto finché non travalica nella etero direzione.

È un sentiero stretto e pieno di insidie. Il rischio che qualsiasi forma di inserimento del collaboratore nel ciclo produttivo venga intesa come manifestazione del potere organizzativo datoriale sulle modalità di lavoro, con conseguente applicazione della disciplina del lavoro subordinato, è davvero molto alto.

Ed è un rischio che forse non vale granché la pena di correre, ora che il rapporto di lavoro subordinato è molto più flessibile e conveniente di prima. Ciò del resto corrisponde all’idea di fondo che ispira il Jobs act: la “promozione” del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, considerato il contratto “standard”, rispetto a tutte le altre forme di lavoro, anche autonome.

Aldo Bottini - 17 dicembre 2015 -  tratto da sole24ore.com

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