Un orologio di lusso con cassa in ceramica e brillanti (prezzo: 1.980 euro). Una vacanza di 14 giorni sulla Riviera Maya in Messico per due persone (2.529 euro). Un mobile made in Italy per il bagno, completo di specchio e lampada a led (1.492 euro). Che cosa hanno in comune tutte queste cose? Sono alcuni dei beni e servizi che dallo scorso 1° gennaio – per chi vuole – possono essere pagati anche in contanti. Lo prevede la legge di Stabilità 2016 (comma 898), che ha alzato da mille a 3mila euro la cifra a partire dalla quale è obbligatorio usare mezzi tracciabili (bonifici, assegni, bancomat, carte di credito).

Dopo tre riduzioni consecutive – che avevano portato la soglia dai 12.500 euro del 2008 ai mille della manovra Monti – gli italiani stanno sperimentando in questi giorni il primo allentamento dei limiti all’utilizzo di contanti, titoli al portatore e libretti di deposito, sempre al portatore. Un allentamento accompagnato da diverse polemiche sulle possibili ricadute negative in termini di contrasto all’evasione, ma i cui effetti non appaiono scontati.

È un fatto che gli italiani usano i mezzi di pagamento elettronici meno degli altri europei, con una media di 80 operazioni a testa nel 2014. Senza bisogno di scomodare il record degli inglesi (308 operazioni all’anno), anche gli spagnoli ci superano abbastanza nettamente (129 operazioni), e solo i greci sembrano usare la moneta elettronica molto meno di noi (18 operazioni). I dati, però, rivelano anche come i Pos (i dispositivi elettronici che consentono i pagamenti con bancomat o carta di credito) abbiano una diffusione nel nostro Paese di gran lunga superiore a quella di altri Stati dell’area euro (circa 1,9 milioni contro, per fare un esempio, gli 1,3 della Francia). E proprio la moneta elettronica è diventata negli ultimi dieci anni il principale strumento di pagamento alternativo al contante: ben sei transazioni su dieci avvengono con carte di pagamento, mentre è diventato sempre più marginale il ricorso agli assegni.

Al di là dei numeri, è difficile contestare che ci sia una correlazione tra uso del contante ed economia sommersa. Lo dice chiaramente anche l’Unità di informazione finanziaria (Uif) di Bankitalia, secondo cui il contante «è unanimemente considerato un importante fattore di rischio sotto il profilo del riciclaggio». E questo perché il denaro liquido è «uno dei principali strumenti di pagamento attraverso il quale l’economia informale, sommersa e illegale, riesce a veicolare i propri profitti nell’economia legale».

Gli stessi ispettori di Bankitalia, però, ammettono che c’è una domanda “fisiologica” di contante che non va confusa con quelle derivante dalle attività criminali. E del resto non è detto che i divieti siano sufficienti a fermare chi vuol fare acquisti in contanti per spendere il denaro guadagnato con l’evasione fiscale. A maggior ragione se si pensa a quanto sia raro essere multati per violazioni del limite nell’uso del denaro.

Tra l’altro, una connessione diretta tra contante ed evasione non è mai stata dimostrata. Anche per questo chi ha difeso l’innalzalmento della soglia ha tenuto a escludere un indebolimento nella lotta a chi non è leale con il fisco. Piuttosto è una misura che cerca di andare nella direzione di “accompagnare” una maggiore propensione alla spesa delle famiglie in modo da contribuire al rafforzamento della fiducia.

Resta, invece, aperto il capitolo della tracciabilità a cui è stato dedicato un intero decreto attuativo della delega fiscale. L’estensione della fattura elettronica oltre l’attuale obbligo con le Pa e rimettere mano all’obbligatorietà del Pos (si veda l’articolo in basso a destra) possono rappresentare un contributo in questa direzione. Anche se poi la qualità dei dati che arrivano nei database dell’Anagrafe tributaria e la concreta possibilità di incrociarli è tutta un’altra storia.

Cristiano Dell’Oste/Giovanni Parente - 11 gennaio 2016 - tratto da sole24ore.com

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