La riduzione del credito derivante da una transazione non finanziaria non genera una perdita su crediti ma bensì una sopravvenienza passiva.
In fase di “chiusura” dei bilanci relativi al passato esercizio, particolari considerazioni devono essere effettuate con riferimento alle perdite su crediti. Tali poste negative di bilancio, che possono scaturire da diverse situazioni in cui versa il debitore, seguono, in linea generale, due diversi principi da un punto di vista civilistico e da un punto di vista fiscale. Mentre, infatti, nel primo caso vige il principio della prudenza, da un punto di vista fiscale si deve avere riguardo alla “certezza” e alla “precisione” della perdita stessa.

Per presunzione di legge tali requisiti vengono automaticamente riconosciuti in presenza di determinati eventi, quali l'assoggettamento a procedure concorsuali del debitore o in presenza di ristrutturazione dei debiti, ex articolo 182-bis della legge fallimentare, o di piano attestato di risanamento, ex articolo 67, terzo comma, lettera d), sempre della legge fallimentare.

Gli elementi certi e precisi risultano sussistere, sempre per presunzione, anche in presenza di crediti di modesta entità, ossia che hanno compiuto sei mesi e che non superano l'importo di euro 5mila o 2.500 ciascuno, a seconda che si tratti o meno di imprese di rilevante dimensione, nonché in presenza di crediti prescritti o di cancellazione degli stessi dal bilancio, operata in applicazione di corretti principi contabili, come nel caso, ad esempio, di loro cessione.

Al di fuori di questi casi la deducibilità della perdita è, quindi, legata alla dimostrazione della sussistenza degli elementi certi e precisi richiesti dal testo unico delle imposte sui redditi. Al fine di verificare tali elementi, è bene innanzitutto tenere conto che la determinazione di una perdita su crediti può derivare da due processi: quello valutativo da un parte, quello realizzativo dall'altra.

Mentre nel primo caso il creditore dovrà valutare, in linea generale, se la definitività della perdita stimata deriva da situazioni di obbiettiva insolvenza non temporanea del debitore, raccogliendo, ovviamente, le pezze giustificative, nel secondo caso la perdita deriva direttamente da processi realizzativi, con la necessaria presenza di atti idonei a identificare con certezza e definitività la perdita stessa.

Tra gli atti realizzativi e che permettono la deducibilità della perdita, si possono annoverare anche le transazioni tra creditore e debitore. Proprio con riferimento a tale istituto, è necessario però individuare se si stratta di una transazione di carattere finanziario ovvero di una transazione che esula da tale contesto. Mentre la prima riguarda, infatti, la difficoltà del debitore ad adempiere alla propria obbligazione di natura pecuniaria, portando, quindi, il creditore a realizzare una vera e propria perdita su crediti, in presenza di una transazione di diversa natura, le considerazioni sono diverse. Si pensi, ad esempio, ad una transazione commerciale basata non sull'incapacità del debitore di pagare il proprio debito, ma bensì sulla non conformità di beni ceduti, rispetto a quelli ordinati, o sui servizi prestati rispetto a quelli commissionati. In tale caso la transazione esula dalle difficoltà finanziarie del cliente, e si concentra su aspetti del tutto contrattuali. In questo caso, quindi, la transazione su somme diverse da quelle vantate dal creditore non porterà ad una perdita su crediti ma bensì al realizzo di una sopravvenienza passiva, con considerazioni fiscali diametralmente opposte a quelle finora analizzate. Per questi ultimi componenti negativi di reddito, infatti, non si deve avere riguardo alle norme contenute nel comma 5, dell'articolo 101 del Tuir, ma bensì al precedente comma 4, che non prevede particolari criteri o limiti per il riconoscimento della loro deducibilità.

 Michele Brusaterra -  21 marzo 2016 - tratto da sole24ore.com

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