I tassi mutui sono ai minimi storici. È questo che dice lo sportellista bancario quando ci si va a informare per chiedere un nuovo mutuo, per provare a rinegoziare il vecchio o (in alternativa) tentare la strada della surroga.

Ma è proprio vero? Se osserviamo l’ultimo dato Abi relativo al tasso medio applicato a settembre sui prestiti per la casa non è che si possa dare torto a chi sostiene che i mutui sono ai minimi: il tasso medio è sceso al 2,66% (dato che rappresenta una media tra le erogazioni a tasso variabile che viaggiano intorno all’1,5%-2% e quelle a tasso fisso tra il 2,2% e il 3,2%). Nel 2012 il tasso medio era del 3,98%, nel 2013 del 3,67%. Anche andando un po’ più indietro (nel 2011) si vede come la media fosse oltre il 3%.

Le banche stanno riducendo gli spread (che oscillano tra l’1,2% e il 2,2% a seconda del loan to value, ovvero in base a quanto capitale si chiede in prestito in relazione al valore dell’immobile) e questo si riflette sul costo medio. Un altro elemento che ha abbassato il costo medio dei mutui è rappresentato dalla caduta dell’altro elemento che concorre a formare il tasso finale: l’indice interbancario Euribor (per i mutui a tasso variabile) che viaggia addirittura sottozero e l’indice interbancario Eurirs (per i mutui a tasso fisso) che vola basso, complice la caduta del rendimento del Bund tedesco a cui è in un certo qual modo collegato.

Il discorso fila a pennello se ci si ferma qui, ovvero all’analisi dei tassi nominali applicati dalle banche sui mutui e a quel 2,66% medio calcolato dall’Abi. Tuttavia fermarsi semplicemente ai tassi nominali sarebbe un po’ grossolano. Sia quando si tratta di un debito (mutuo o prestito), sia di un investimento attivo cartaceo (BoT, BTp, azioni, fondi, ecc.) è doveroso calcolare il tasso reale, quello che conta davvero. Il tasso reale si ottiene sottraendo al tasso nominale il livello di inflazione del periodo.

L’inflazione abbatte il costo reale del debito e riduce il guadagno in un investimento attivo. Quindi piace più ai debitori che ai creditori. Essendo i mutuatari dei debitori dovrebbero tenerne conto.

Bene, depurando il tasso medio applicato oggi dalle banche sui mutui (2,66%) dal tasso di inflazione (a ottobre in Italia i prezzi sono cresciuti dello 0,2% come indicato prorio questa mattina dall’Istat) otteniamo un tasso reale del 2,46%. È questo il costo effettivo, in termini di potere di acquisto finale del mutuatario. Confrontando il tasso reale di oggi con il tasso reale dei mutui stipulati durante la crisi del 2011-2012 (quando i tassi nominali erano molto più alti e vicino al 4%) c’è una sopresa. Il costo reale del mutuo negli anni della crisi era molto più basso, perché in quegli anni l’inflazione ha abbattuto in modo più consistente il debito (nel 2011 era al 2,7% e nel 2012 al 3,3%). A conti fatti - come sintetizza questa tabella - nel 2011 un mutuo costava in termini reali per le tasche del mutuatario in media lo 0,52% annuo, a fronte del 2,46% del 2015.

Questo ci dice, quindi, che non è vero che oggi i mutui sono ai minimi storici. Nel computo annuo costano 5-6 volte in più rispetto al periodo di crisi 2011-2012.

Va però detto che il mutuo è un prodotto di lungo periodo (la durata media è di 20-25 anni). Quindi non è detto che il tasso reale più caro di oggi resti così caro anche in futuro. Tutto dipende da come si muoverà nei prossimi anni l’inflazione. Se questa dovesse salire e riportarsi intorno al 2% auspicato dalla Banca centrale europea il costo reale tornerebbe simile a quello del 2011 (ovvero lo 0,5%). Se invece questa dovesse restare bassa il costo reale è destinato a restare più caro. Pur di fronte a tassi nominali ai minimi.

Vito Lops - 30 ottobre 2015 – tratto da sole24.ore.com

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