Le norme più severe in vigore da aprile. Le commesse affidate sulla base dei progetti esecutivi, che riducono lo spazio per le varianti. Il presidente dell’Ance: «Giusto ma serve tempo». La richiesta di una proroga e il nodo di Bruxelles

C’è una lucina rossa che si è accesa al ministero dell’Economia e a Palazzo Chigi. Non è quella che riguarda gli effetti della Brexit o la tenuta del sistema bancario. La lucina ha a che fare direttamente con l’andamento dell’economia di casa nostra, con gli effetti che può avere sul Prodotto interno lordo il rallentamento degli appalti pubblici. Che cosa è successo? Il 19 aprile scorso è entrato in vigore il nuovo codice degli appalti, che riscrive le regole per le gare delle opere pubbliche. Cambiano tante cose, ma ne cambia soprattutto una: gli appalti non possono più essere affidati sulla base dei cosiddetti progetti definitivi, quelli che servono per ottenere i permessi a costruire. Ma solo sulla base dei cosiddetti progetti esecutivi, molto più avanzati, perché entrano nei minimi dettagli delle opere da realizzare.

Stop a varianti
La modifica ha la sua logica, perché riduce il margine per quelle varianti che spesso finiscono per allungare i tempi e far lievitare i costi dei cantieri. Ma il risultato immediato è stato il blocco (o quasi) delle gare. Secondo il centro studi dell’Ance, l’associazione nazionale dei costruttori edili, a maggio il valore dei bandi pubblicati è sceso del 75,1% rispetto alla stesso mese dell’anno precedente. La tendenza riguarda soprattutto i grandi appalti, quelli che contano di più in termini di posti di lavoro e di ricchezza prodotta: sempre a maggio sono state bandite solo 10 gare di importo superiore ai 5 milioni di euro. Contro le 45 di marzo, l’ultimo mese pre riforma. Per giugno il dato definitivo ancora non c’è. Ma secondo Claudio De Albertis, che dell’Ance è il presidente, «la sensazione è di un ulteriore rallentamento». Un blocco che potrebbe uccidere nella culla quei segnali di ripresa che facevano sperare in un più 6% per le opere pubbliche realizzate nel 2016 rispetto all’anno scorso. La lucina rossa ha preso a lampeggiare più veloce. Perché il problema non riguarda solo la categoria ma l’intera economia italiana, visto che le costruzioni coprono tra il 16 e il 18% del Pil. Un guaio vero, insomma.

Effetto novità
È solo questione di tempo, perché ad ogni cambio di regole c’è da mettere in conto un effetto novità, un periodo più o meno lungo di adattamento? Possibile, certo. Anche nel 2006, anno dell’ultima riforma nel campo degli appalti, ci fu un rallentamento delle gare. Ma allora il settore dell’edilizia privata tirava alla grande e questo compensò gli effetti negativi. Adesso l’edilizia privata è in crisi nera e se si fermano anche gli appalti pubblici si rischia la catastrofe. Senza contare che negli otto anni di crisi il settore delle opere pubbliche ha già perso il 60% di volume. Da quel tunnel non siamo ancora usciti. Al netto della sindrome da adattamento, insomma, il problema c’è. Ed è grave. Tanto più adesso che si torna a parlare di investimenti come chiave per sostenere la ripresa. Cosa succederà?

Una proroga difficile
«Sia chiaro — dice il presidente dell’Ance — la nuova legge è pienamente condivisibile. Quello che ci ha messo in difficoltà è la tempistica». Per questo i costruttori chiedono una proroga. Il rinvio dell’applicazione delle nuove regole all’inizio del nuovo anno. «O almeno la possibilità — spiega De Albertis — di poter bandire le gare sulla base dei progetti non esecutivi ma definitivi che sono già pronti nei cassetti». Nei prossimi giorni ci dovrebbe essere un incontro con il governo per trovare una soluzione. Contatti informali sono già in corso ma il sentiero è davvero stretto. Dopo una lunga serie di rinvii, il nuovo codice degli appalti è arrivato in zona Cesarini, a soli tre giorni dalla scadenza prevista per il recepimento delle indicazioni arrivate da Bruxelles. Proroghe ed eccezioni vanno di fatto concordate con la commissione europea. E, di questi tempi, il tavolo delle trattative con l’Ue è già pieno di dossier.

Lorenzo Salvia - 30 giugno 2016 – tratto da corriere.it

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