Entro il 31 dicembre di quest’anno imprese e lavoratori autonomi dovranno scegliere se esercitare l’opzione per la trasmissione telematica, nei prossimi 5 anni, di fatture e corrispettivi all’Agenzia delle entrate. Una scelta che vede su un piatto della bilancia una serie di semplificazioni, sia gestionali, sia burocratiche, che dovrebbero tradursi in un risparmio di tempi e di costi; sull’altro piatto il rischio che, come succede spesso in materia fiscale, anche le cose più semplici finiscano per trasformarsi in un garbuglio difficile da districare.

Primo problema: la scelta della fattura elettronica comporta che vadano trasmesse all’Agenzia delle entrate in modalità elettronica non solo le fatture emesse, ma anche quelle ricevute. Cosa succede se uno o più clienti dell’azienda che ha esercitato l’opzione non aderisce a questo sistema? L’Agenzia delle entrate non si è ancora pronunciata e quindi non è chiaro se in questi casi chiederà la trasmissione della fattura o dei dati in essa contenuti, ma il fatto che la norma di riferimento, che prima parlava di trasmissione della fattura, sia stata modificata con riferimento alla trasmissione dei dati in essa contenuti, sembra andare nella direzione di rendere possibile l’adempimento anche a chi ha clienti che preferiscono utilizzare fatture cartacee. Anche perché, se fosse obbligatorio trasmettere tutte le fatture, basterebbe un operatore economico non disponibile a bloccare decine di altri imprenditori.

Difficile ipotizzare quando saranno pronti i provvedimenti attuativi. Finora è disponibile solo una bozza relativa alla trasmissione telematica dei corrispettivi, ma per le fatture siamo ancora al nastro di partenza.

Probabilmente alla fine verrà istruita una procedura sulla base di quella già utilizzata per lo spesometro. Con la speranza che gli errori e gli orrori già sperimentati con questo meccanismo possano essere risparmiati questa volta ai contribuenti italiani. Una procedura oscura o troppo complicata chiuderebbe la strada a ogni possibilità di applicazione di massa di quello che invece potrebbe essere un utile strumento per semplificare il rapporto con il fisco. Anche perché siamo già al terzo tentativo di introdurre un regime fiscale che agevoli la fatturazione elettronica tra privati, dopo quelli (abortiti) dei governi Monti e Letta. Un ulteriore passo falso sarebbe difficile da perdonare.

Per questo destano preoccupazione alcuni indizi che sembrano rivelare come, tra chi sta scrivendo queste disposizioni, ci sia qualcuno che un’azienda sembra non averla mai vista nemmeno dipinta: come si fa altrimenti a scrivere una norma che prevede l’accorciamento di un anno dei termini per l’accertamento fiscale a condizione che l’uso dei contanti sia limitato a somme non superiori a 30 euro? In che mondo vivono questi burocrati?

La fattura elettronica non sarà invece frenata dal timore dei contribuenti di consegnarsi mani e piedi legati all’Agenzia delle entrate: tutto sommato anche chi non è del tutto ligio ai doveri fiscali e si concede una piccola percentuale di nero non ha motivi di ritenere che questo adempimento aumenti il rischio di incappare nell’accertamento, i dati trasmessi non saranno molto diversi da quelli dello spesometro: il problema saranno le incertezze, le complicazioni, i ritardi nell’approvazione dei provvedimenti attuativi e la chiarezza. Basti pensare che le istruzioni correttive dello spesometro sono state annunciate da due anni, ma nessuno le ha viste. Di questo passo il rischio è che saranno in pochi, nel 2016, a esercitare l’opzione. Poi si vedrà.

Marino Longoni – 19/09/2016 – tratto da Italia Oggi

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