I voucher stavano correndo troppo, e il governo ha tirato i freni, introducendo l’obbligo dettagliato di comunicazione preventiva. Anche per cercare di limitarne l’uso spregiudicato.

Originariamente i buoni lavoro erano stati concepiti per pagare i lavoratori agricoli stagionali: il loro utilizzo è esploso dopo la riforma Fornero del 2012, che ha consentito di utilizzarli anche per retribuire camerieri, giardinieri e servizi di pulizia, lavori domestici. Il Jobs act ne ha incentivato ancora l’utilizzo portando da 5 mila a 7 mila euro il limite di reddito percepibile da un lavoratore. I percettori sono così passati dai 24 mila del 2008 agli 1,4 milioni del 2015. Negli ultimi tre anni si è passati da 40,8 milioni di voucher venduti nel 2013 a 115 milioni di tagliandi staccati nel 2015. Ha destato però qualche sospetto il fatto che per la metà di tali lavoratori l’importo netto percepito in un anno è uguale o inferiore a 217,50 euro. Il rischio, denunciato dai sindacati, è che questo strumento, invece di far emergere il lavoro nero, venga utilizzato per coprirlo. Molti datori di lavoro, sostengono i sindacati, attivavano il buono solo quando scattavano i controlli, in modo che il lavoratore risulti in regola. Oppure retribuiscono il lavoratore con un solo buono lavoro al giorno (in modo da non correre rischi in caso di infortunio) e le restanti ore del giorno in nero.

Con il decreto legislativo correttivo del Jobs act, varato dal consiglio dei ministri del 23 settembre, si cerca di bloccare questi escamotages introducendo l’obbligo di comunicazione preventiva. In pratica il datore di lavoro deve comunicare all’Ispettorato del lavoro, almeno un’ora prima dell’inizio della prestazione lavorativa, mediante sms o email, i dati anagrafici del lavoratore, codice fiscale, luogo, inizio e fine della prestazione stessa. Questa disciplina non si applica al lavoro domestico, quando cioè il datore di lavoro non ha la partita Iva: in questo caso restano in vigore le vecchie regole che prevedono un obbligo generico di comunicazione non oltre un mese prima dell’inizio della prestazione lavorativa. Gli imprenditori agricoli che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio sono tenuti a comunicare esclusivamente i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione con riferimento a un arco temporale non superiore a tre giorni, ciò per tenere conto della specificità del lavoro agricolo e della difficoltà dei committenti di prevedere in anticipo la durata delle prestazioni e il numero esatto di lavoratori da utilizzare, che può variare in modo imprevedibile a causa dei fattori meteorologici.

L’introduzione di un adempimento burocratico come l’obbligo di comunicazione preventiva dovrebbe scoraggiare gran parte degli usi fraudolenti dei voucher (usto come strumento di copertura del lavoro nero), ma in qualche caso potrebbe disincentivarne anche l’uso legittimo. Ed è tutto da dimostrare che riesca a far emergere una quota, anche piccola, di lavoro irregolare. L’uso del buono lavoro espone infatti il datore di lavoro ai controlli dell’Ispettorato del lavoro (con modalità ancora da definire), con il rischio di sanzioni da 400 a 2.400 euro per ogni lavoratore impiegato. Certamente nei prossimi mesi l’uso dei buoni lavoro diminuirà, ma bisogna vedere se questo si trasformerà in un maggior numero di rapporti di lavoro dipendente oppure (come è più probabile) in una crescita del lavoro nero.

Marino Longoni – 03 ottobre 2016 – tratto da Italia Oggi

 

 

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