I fondi pensione continuano a guadagnare iscritti che ormai sfiorano gli 8 milioni ma al tempo stesso cresce il numero di coloro che stoppano i versamenti, in particolare tra gli autonomi. L'anno scorso quasi 2 milioni, più di uno su quattro, non ha fatto versamenti contributivi. E il 2016 è stato un anno nel complesso positivo per il rendimento offerto dal secondo pilastro, superiore al Tfr. Sono alcuni dei tratti principali della fotografia della previdenza complementare offerta dalla relazione annuale della Covip illustrata dal presidente, Mario Padula.
A fine 2016 gli iscritti alla previdenza integrativa hanno raggiunto quota 7,8 milioni con un incremento del 7,6%. Gli iscritti ai Pip nuovi (piani individuali pensionistici) sfiorano i 3 milioni, 2,6 milioni gli iscritti ai fondi negoziali, 1,3 milioni ai fondi aperti e 650mila quelli ai fondi preesistenti.
"Rispetto all'anno precedente gli iscritti ai fondi negoziali sono aumentati del 7,4% - osserva Padula - anche al netto delle adesioni contrattuali, l'incremento risulta positivo per la prima volta dal 2008". Tuttavia le adesioni multiple sono circa 620mila. Gli iscritti effettivi al secondo pilastro risultano quindi 7,2 milioni, pari al 27,8% dell'intera forza lavoro.
Anche nel 2016, tuttavia, si è ampliato il fenomeno dei mancati versamenti. Quasi 2 milioni di iscritti, prevalentemente lavoratori autonomi, non ha fatto versamenti contributivi. Nel 2015 erano circa 1,8 milioni. Fenomeno determinato soprattutto dagli effetti della crisi.
La fotografia scattata dalla Covip sul segmento della previdenza complementare mostra che il comparto presenta ancora una eccessiva frammentazione dell'offerta che si riflette sul livello dei costi. Tuttavia il rendimento medio offerto dalla previdenza complementare, grazie alla buona performance dei mercati finanziari, ha battuto il Tfr. Padula indica che i fondi pensione negoziali e i fondi aperti hanno reso in media rispettivamente il 2,7 e il 2,2 per cento. Per i PIP "nuovi" di ramo III, il rendimento medio è stato del 3,6 per cento; le gestioni separate di ramo I hanno reso il 2,1 per cento. Nello stesso periodo il TFR si è rivalutato, al netto delle tasse, dell`1,5 per cento.
Nell`anno, i comparti azionari hanno realizzato guadagni superiori: 4,4 per cento nei fondi negoziali, 3,2 per cento nei fondi aperti e 6 per cento nei PIP di ramo III. Su un periodo di osservazione più ampio (2008-2016), comprensivo delle fasi di turbolenza dei mercati finanziari, il rendimento netto medio annuo dei fondi pensione negoziali è stato del 3,4 per cento, quello dei fondi aperti del 2,9 per cento, nei PIP si è attestato sul 3 per cento per le gestioni di ramo I e sul 2,2 per quelle di ramo III. La rivalutazione del TFR è stata del 2,2 per cento.
Nel corso del 2016 è proseguito il processo di consolidamento dell'offerta previdenziale complementare. Il settore conta 452 forme pensionistiche: 36 negoziali, 43 aperti, 78 piani individuali pensionistici (PIP), 294 preesistenti e FONDINPS.Nell`anno il numero di forme operative si è ridotto di ulteriori 17 unità, interessando 10 fondi preesistenti e 7 fondi pensione aperti. "Permangono margini di ulteriore concentrazione - afferma Padula - è importante sfruttarli per tendere a una più elevata efficienza, rafforzando la struttura organizzativa e di governance, innalzando la qualità dei servizi offerti agli aderenti, contenendo i costi. Anche esperienze di integrazione funzionale fra fondi pensione possono contribuire al conseguimento di tali obiettivi".
Nel corso degli ultimi 12 mesi, è rimasto sostanzialmente stabile il profilo degli investimenti realizzati da fondi pensione e casse professionali. Padula ribadisce che fondi e casse possono "svolgere un ruolo di assoluta rilevanza nel finanziamento all'economia, quali investitori istituzionali.
Considerati nel loro insieme, investono in Italia circa 71 miliardi di euro, pari al 37 per cento del totale degli attivi.
Oltre la metà delle risorse è formata da titoli di Stato, per un valore di 40,2 miliardi di euro, mentre poco meno di un terzo è formato dalla componente immobiliare. La quota destinata al finanziamento delle imprese italiane rimane ancora esigua: 7,2 miliardi di euro, pari al 3,7 per cento delle attività totali, di cui 3,4 miliardi in titoli di debito e 3,8 miliardi in titoli di capitale. "Tale limitata esposizione verso le imprese italiane - spiega Padula - deriva da politiche di gestione finanziaria tipicamente orientate alla replica di benchmark di mercato diversificati su scala internazionale, nei quali il peso assegnato all`Italia è marginale, in conseguenza del basso livello di capitalizzazione del mercato azionario italiano e del limitato numero di imprese quotate; da ciò derivano anche difficoltà nella valorizzazione e nella liquidabilità di strumenti non quotati".
Il presidente Covip auspica un progressivo potenziamento dell`offerta di appropriati strumenti finanziari, segnalando tuttavia che, sul versante della governance e della relativa capacità di innovazione delle politiche di investimento, tanto i fondi pensione quanto le casse professionali devono compiere un ulteriore sforzo nella direzione dell`efficienza.

08 giugno 2017 – tratto da Italia Oggi

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